Leggo da una lettera pubblicata sul blog di Valli inviata da un ex studente di un collegio cattolico svizzero che, a proposito di un suo compagno, un super genio, il primo della classe, con cui è ancora in contatto, scrive:
«Paolo non ha abbandonato la fede. Si considera sempre cristiano e cattolico e va a messa la domenica. È bergogliano e mi dice che per conto suo San Pietro e il Vaticano potrebbero essere trasformati in musei. Inoltre secondo lui Dio non è una persona. Ciò che conta, dice, è la fratellanza universale. I dogmi? La dottrina? Solo anticaglie, argomenti da storicizzare, roba buona, al più, per studiosi e teologi».
Non basta avere l’intelligenza della mente, anzi quella che comunemente oggi si intende come “intelligenza” non è neanche necessaria. E mi riferisco a qualcosa di simile alla cosiddetta AI, quella che si può “misurare” con uno dei tanti quiz proposti in rete e che spopolano nei test di ingresso alle facoltà universitarie, peraltro assolutamente inutili, quella visiva, acuta, rapida e mnemonica, che serve per prendere il 100 o 110 e lode (ma neanche...). Bisogna invece avere l’intelligenza del cuore, che poi non è altro che l’intelligenza dell’anima. L’intelligenza dell’anima non usa algoritmi, equazioni o dimostrazioni, non ha bisogno di libri, non si misura con i “test di “intelligenza”. L’intelligenza dell’anima è selettiva, rigorosa, categorica, assoluta. Non ti dice “il vaccino è un atto d’amore”, non mette sullo stesso piano un cane e un bambino, non ti seduce con i diletti della modernità, non ti messaggia con “faccia libro”, non relativizza, non soggioga ma rispetta la tua libertà, non illude perché essenziale, non sbaglia perché pura. Essa si alimenta della sorgente infinita del Suo Creatore, che, quando sarà il momento, non ci sottoporrà i quiz del test di ingresso, perché quel “test di ingresso” sarà proprio tutta un’altra cosa.
Occorre riconoscerla, mettersi in ascolto, come sapevano fare le persone umili di tanto tempo fa. Per averla e per mantenerla è necessario innanzitutto ricordarsi di averla l’anima e poi non recidere quella catena che ci lega alle anime dei nostri antenati che, per tremila anni, hanno formato le nostre consuetudini, hanno modellato le nostre terre, la nostra “tradizione”. La “memoria” è l’unico rimedio alla devastazione in atto, che non si ferma mai, avendo come traguardo la cancellazione totale della nostra civiltà greco-romano-cristiana, con la trasformazione delle radici primarie dei nostri luoghi, dei nostri borghi, delle nostre chiese, delle nostre famiglie, delle nostre relazioni. La memoria è l’unica entità che non ci possono strappare, l’unico legame forte con le anime dei nostri antenati, la traccia di quello che siamo stati. Quando vedremo una delle nostre bellissime chiese che non vorranno demolire, perché anche la loro misera “cultura” ha bisogno di bellezza, ovviamente trasformata in qualcos’altro… la nostra memoria saprà restituirgli la sua essenza, come farei visitando Santa Sophia a “Costantinopoli”. Solo per la durata infima della nostra vita terrena, perché dopo, tutto ritornerà come Dio lo aveva voluto, annientando i penosi orpelli del diavolo. La rivoluzione cerca di tagliare il legame tra la memoria e la verità con l’illusione di sostituirlo con la sua menzogna costitutiva, nell’autarchia folle dei princìpi rivoluzionari che sopprimono Dio, per surrogarlo con il fanatismo dell’io individuale e, quindi, con il caos.
Fino a poco più di dieci anni fa sono stato un sprovveduto stupido dell’anima, poi a poco a poco, con l’aiuto di Dio per mezzo di Maria, sto cercando di recuperare, con molta fatica, quello che avevo solo, per fortuna, relegato nella grotta più profonda.
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