giovedì 25 febbraio 2021

PAURA DELLA LIBERTÀ

 




 "Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi"  Mt 10,16

Si respira un'aria pesante e non è per la mascherina... Non è più possibile fare battute perché il rullo compressore internetelevisivo ha spianato i cervelli e ogni atomo di ironia, sale insostituibile della vera indipendenza, consentendo solo una visione appiattita, bidimensionale, senza prospettiva, priva della necessaria vista dall’alto di cose che apparirebbero in tutta la loro insipienza, sotto i rilievi mostruosi dell’empietà. Mi è capitato più volte, ultimamente, di suscitare disagio nei miei interlocutori solo per aver accennato ad una battuta non in linea col pensiero dominante. Ormai non c'è più un barlume di libertà, quella vera, quella del pensiero. Ormai c'è solo PAURA, artificialmente dissimulata dalla gaiezza ipocrita di massa, paura come categoria filosofica, archetipo che ispira ogni pensiero, paura che fermenta ogni azione, ogni reazione, ogni decisione. Paura che disarma ogni sicurezza,  che sopprime ogni parvenza di giudizio assoluto, che nell’Assoluto ha il suo fondamento. Davanti ad un pensiero singolare ti guardano come il bambino guardava E.T. per la prima volta, stupefatti e impauriti perché hai provato a destabilizzare le loro certezze, ad introdurre un elemento oggettivo nel relativo dispotico ammantato di falsa liberalità.  Paura del dirigente, del capoufficio, della preside, del vescovo, del prete, della badessa, della consorella, della catechista, della ministra straordinaria, del collega, del sindaco, del primario, dell'amico, del fratello. Paura del giudizio degli altri, del senso comune, dell'isolamento scontato, della solitudine, della salute, del futuro, di rimanere fuori dal giro, paura di professare la normalità, di remare controcorrente, paura di essere estromesso, come gli intrusi, dai guardiani e non poter gustare fino in fondo l’ultima goccia di miele, stomachevole ma seducente, opportunamente preparato per i fuchi voluttuosi del grande alveare. Paura di deludere il falso padrone, abilmente dissimulato sotto la "mascherona" del buonismo imperante.

La paura del covid ha modellato il cemento finale di tutte le paure inculcate in questi 60 anni, astutamente pacifiste e perciò sostitutive della grande paura della guerra, disposte a cancellare l’unica paura veramente fruttuosa, quella del destino della nostra anima, della quale non si parla più, essendo stata rimpiazzata dalla lusinga perversa e fraudolenta della salvezza per tutti.

Paura di non partecipare al piacere di regime, paura di perdere il contatto della mandria e cadere preda dei lupi, ma poi chi sono i veri lupi? Paura di apparire normali, in un mondo in cui questo è l’unico modo per essere veramente originali, paura del sentiero impervio, come calvario,  insidioso, ma luminoso, della libertà.

Claudio Gazzoli







martedì 16 febbraio 2021

CURSUS HONORUM

 


"Hai rovesciato i potenti dai troni" Lc 1,52

A Roma, anche con il privilegio di rampolli di una famiglia patrizia, se si ambiva ad accedere ai gradi più alti della magistratura, occorreva percorrere tutte le tappe della carriera, cominciando ovviamente dal servizio militare nelle legioni. Qui, se si possedevano le necessarie capacità di sopportazione della fatica e ci si distingueva per doti di comando si poteva accedere al tribunato militare. Dopo 10 anni, qualora la “fortuna” avesse concesso la permanenza in vita, si poteva percorrere la carriera politica vera e propria: questore, edile, pretore, console. Questo garantiva che ai vertici dello stato ci fossero uomini che avevano un’esperienza diretta dell’organizzazione dello stesso, che ne conoscevano il peso, le articolazioni, le contraddizioni, le tecniche, l’odore, i compromessi da compiere per il bene della “cosa pubblica”.

Questi qua invece, molti di loro, che si ritrovano a guidare dicasteri che l’evoluzione della macchina statale, con le sue innumerevoli leggi, regolamenti, norme, ordinamenti, connessioni, interrelazioni, ne ha esponenzialmente ingigantito la complessità, che cosa hanno fatto, prima, nella vita? Quali sono i loro “fondamentali” imprescindibili per guidare quel Dicastero? In quale ufficio, hanno lavorato con il massimo profitto? quale grande organizzazione hanno diretto con beneficio? Quali sezioni periferiche e centrali hanno gestito? Quali situazioni complesse hanno coordinato e risolto con successo? E non è una consolazione pensare che, come si dice, stanno lì per rispondere a disposizioni impartite da altri perché lo Stato deve avere il suo decoro.

Invece ora fondamentale è l’arroganza, la protervia di un potere effimero perché ottenuto non già con un mandato individuale basato sulla conoscenza della persona ma con un mandato di partito acquisito con la ratifica del popolo che, una volta ogni 5 anni, mette una “croce” su un simbolo dentro una cabina angusta e traballante. Poi per i restanti 4 anni e 364 giorni “chi si è visto si è visto”… Di questo “rito” fondante della Democrazia, ora rimane solo il fondale logoro di un teatrino in cui si rappresenta, sistematicamente, la parodia di una gestione del potere che nulla ha a che vedere con i programmi elettorali, le promesse, gli schieramenti.

Per la Chiesa dovrebbe valere lo stesso principio, con una differenza. Nel cursus honorum di un vescovo o di un sacerdote i fondamentali riguardano il possesso degli elementi basilari della Dottrina,  il legame ininterrotto con la tradizione, mentre non hanno alcun valore gli acrobatismi in bicicletta, suonare chitarre, pilotare droni, confezionare pacchi, preparare pizze o cantare canzoncine. Poi sono importanti le capacità organizzative, ma solo se supportate da una fede incrollabile, come gli esempi eccelsi di Sant'Ambrogio, Sant’Alfonso Maria de' Liguori, il Santo curato D’Ars. Invece hanno scardinato, per piacere al mondo, millenni di tradizione, favorendo la "industrializzazione" della fede a spese di un "artigianato” plurisecolare incomparabile, parallelamente al programma che sta portando avanti il "governo mondiale". Chi costruisce un violino o esegue una doratura o restaura un mobile antico o semplicemente prepara il pane o la pasta al forno, fa riferimento ad un susseguirsi di esperienze, di concetti continuamente migliorativi, in virtù del controllo costante dei risultati, un deposito plurisecolare tramandato che costituisce la NOSTRA CULTURA. L'anima per essere "restaurata", assistita, “dorata” ha bisogno di artigianato elevato. Di Industria 4.0 non sa che farsene. Ha bisogno di essere accompagnata da guide sincere sul percorso battuto da millenni, arduo e scosceso, a volte insidioso della salvezza. Nei secoli della caduta o, per meglio dire, decadenza dell’Impero Romano d’Occidente e poi dopo i disastri della Guerra Gotica, gli uomini e le donne di ogni grado sociale hanno potuto contare sul sostegno, la guida, la vicinanza della Chiesa che aveva conservato se non accresciuto il suo potere, potevano contare sulle conoscenze materiali e spirituali di religiosi che avevano custodito gelosamente il sapere, le tecniche, le pratiche della civiltà greco-romana e del deposito della Vera Dottrina.

Ora, tutti insieme nella grande ammucchiata, ne vogliono distruggere totalmente le fondamenta, avendo altresì nelle gerarchie della Chiesa un alleato potente e soprattutto nell’uomo “venuto dalla fine del mondo” che, a capo di uno stato straniero, si intromette in modo pesante nelle scelte politiche di questo sfortunato paese, da cui prende solo i benefici, senza che nessuno, ma proprio nessuno, gli ricordi che questa è interferenza negli affari interni italiani. Un uomo venuto dalla fine del mondo, in senso reale ma anche figurato, per perseguire la fine della nostra Civiltà, senza curarsi minimamente, anzi calpestando impunemente, le storie, le battaglie, le vittorie e le sconfitte, le rinunce, i patimenti che l’hanno generata. Un uomo venuto dalla fine del mondo che usa i suoi scherani e i suoi organi di informazione per avallare, se non proporre, modelli di comportamento agli antipodi della nostra tradizione cristiana e cattolica, utilizzando, in modo perverso, l’enorme potere di persuasione che “non avrebbe se non gli fosse stato dato dall’Alto”, invece di occuparsi della devastazione spirituale e morale della Istituzione di cui, molto indecorosamente, occupa il Trono, avallando le più sfrenate condotte da parte di religiosi che ormai di religioso mantengono solo il nome.

Nessuna cellula del mio corpo, nessuna porzione della mia coscienza è dalla parte di questi qua.

Mi sento orgogliosamente Italiano solo in quanto geneticamente e culturalmente legato a quelle origini che ora vogliono cancellare per farci entrare nella grande fratellanza, così come si vuole nei consessi dei potenti in grembiulino e cappuccio, per i quali l’Italia è solo "una mera espressione geografica”.

Sono dalla parte di quelli che l’hanno protetta contro i barbari, come papa Leone Magno, di quelli che l’hanno difesa, come i “Viva Maria” contro l’aggressione Napoleonica, dalla parte di quelli che l’hanno resa grande, come Ottaviano Augusto, dalla parte di quelli che l’hanno riunificata, come Dante Alighieri, dalla parte di quelli che l’anno impreziosita, come Raffaello, dalla parte di quelli che l’hanno rispettata, come mio padre, partendo in massa per guerre di cui non capivano neanche il senso, dalla parte di quelli che l’hanno onorata, soccombendo sulle trincee alpine o sulle distese ghiacciate della Russia meridionale, dalla parte di quelli che l’hanno riscattata, come Salvo D’Acquisto, dalla parte di quelli che l’hanno glorificata, morendo nel compito arduo di farne rispettare le leggi, come Carlo Alberto Dalla Chiesa, dalla parte di quelli che l’hanno risollevata, con il sacrificio della propria vita, come Enrico Mattei, dalla parte di quelli che l’hanno sostenuta, con una vita intera dedicata al lavoro, alla famiglia, al rapporto con Dio.

Claudio Gazzoli





mercoledì 13 gennaio 2021

LA FATALE ALLEANZA TRA IL DRAGO ROSSO E LA BESTIA NERA

 



Può essere utile per capire meglio la disastrosa situazione, morale, dottrinale, ideale, organizzativa, della Chiesa di oggi.

3 giugno 1989 - dal messaggio della Madonna a don Stefano Gobbi:

… in questa terribile lotta sale dal mare, in aiuto del Drago, una bestia simile a una pantera.

Se il Drago Rosso è l’ateismo marxista, la bestia nera è la massoneria.

… Se il Signore ha comunicato la sua Legge con i dieci comandamenti, la massoneria diffonde ovunque, con la potenza delle sue dieci corna, una legge che è completamente opposta a quella di Dio.

Al comandamento del Signore: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”, essa costruisce altri falsi idoli, difronte ai quali oggi molti si prostrano in adorazione.

Al comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano”, essa si oppone con il bestemmiare Dio e il suo Cristo, in tanti modi subdoli e diabolici, fino a ridurre ad un marchio di vendita indecoroso il suo nome e a fare film sacrileghi sulla sua vita e sulla sua divina Persona.

Al comandamento: “Ricordati di santificare le feste”, essa trasforma la domenica in week end, nel giorno dello sport, delle gare, dei divertimenti.

Al comandamento: “Onora il padre e la madre”, essa contrappone un modello nuovo di famiglia fondato sulla convivenza, persino tra omosessuali.

Al comandamento: “Non uccidere”, essa è riuscita a fare legittimare, in ogni parte, l’aborto, a fare accogliere la eutanasia, a fare quasi scomparire il rispetto dovuto al valore della vita umana.

Al comandamento: ”Non commettere atti impuri”, essa giustifica, esalta e propaganda ogni forma di impurità, fino alla giustificazione degli atti contro natura.

Al comandamento: “Non rubare”, essa opera perché sempre più si diffondano i furti, la violenza, i sequestri, le rapine.

Al comandamento: “Non dire falsa testimonianza”, essa agisce perché si propaghi sempre più la legge dell’inganno, della menzogna, della doppiezza.

Al comandamento: “Non desiderare la roba e la donna di altri”, agisce per corrompere nel profondo la coscienza, ingannando la mente e il cuore dell’uomo.

17 giugno 1989 - dal messaggio della Madonna a don Stefano Gobbi – Il numero della bestia: 666

…. Addirittura la massoneria ecclesiastica giunge fino a costruire una statua in onore della bestia e costringe tutti ad adorare questa statua.

Ma, secondo il primo comandamento della santa Legge del Signore, solo DIO si deve adorare e a Lui solo deve essere data ogni forma di culto.

La statua o l’idolo, costruito in onore della bestia, per essere adorato da tutti gli uomini è l’Anticristo.

Calcolate ora il suo numero 666, per comprendere come indichi il nome di un uomo.

 


OGNI RIFERIMENTO È PURAMENTE CASUALE....

nome

codice ASCII*

B

66

E

69

R

82

G

71

O

79

G

71

L

76

I

73

O

79

 

 

somma

666


* Il codice ASCII è la codifica utilizzata nel linguaggio informatico per trasferire i caratteri in codice binario





venerdì 8 gennaio 2021

IL VERO VACCINO

 


Se la Chiesa organizzasse, nello stesso momento, in tutte le chiese del mondo, in tutti i monasteri e conventi, adunanze continuate di PREGHIERA, la nuda e semplice preghiera delle invocazioni a Dio, del Rosario.

Se in tutte le chiese si celebrassero Vere Sante Messe in rito “normale”, senza fronzoli e abbellimenti, nella riproposizione incruenta del Santo Sacrificio, con la partecipazione compatta dei fedeli.

Se in tutte le chiese si tornasse a cantare il canto gregoriano, i canti Mariani della tradizione con l’accompagnamento esclusivo dell’organo.

Se, in tutte le parrocchie del mondo, si organizzassero Adorazioni perpetue alla Santa Eucarestia.

Se si svolgessero regolari processioni con il Santissimo Sacramento e la Vergine Maria, in tutte le parrocchie del mondo.

Se tutti i sacerdoti ritornassero a parlare della Vera Dottrina, del peccato, dei Novissimi, dei Santi.

Se in tutti i seminari si ritornasse a studiare la sana teologia, i Sacramenti, la vera Liturgia, la devozione alla Madonna, il Catechismo, le encicliche di papa Leone XIII e di san Pio X.

Se tutti i sacerdoti e religiosi del mondo pronunciassero il giuramento antimodernista di San Pio X.

Se si confermassero solennemente tutti i Dogmi Mariani e si dichiarasse solennemente il dogma di Maria Corredentrice.

Se in tutte le chiese venissero demolite le mense eucaristiche ritornando al vero altare del sacrificio.

Se tutti i fedeli ritornassero al rispetto massimo verso le Sacre Specie, inginocchiandosi sulla balaustra, ricostruita, prima di prendere la comunione sulla lingua.

Se in tutte le chiese venissero distrutte le cosiddette opere d’arte sacra moderne e blasfeme per far posto alla vera rappresentazione della croce, della Madonna e dei Santi, quelli veri.

Se si facesse, in tutte le chiese del mondo, una invocazione di sottomissione all’Unico Vero Dio, all’Unico Vero Salvatore, intonando, simultaneamente, il TE DEUM.

Se venissero ridotti allo stato laicale tutti i religiosi non allineati con la vera Dottrina della Chiesa perché perversamente dominati dalle pulsioni della carne e dalle seduzioni diaboliche del protestantesimo.

Se tutti i sacerdoti rimettessero la talare, come richiesto dalla Madonna alle Tre Fontane.

Se venissero ricondotte alla giusta Dottrina tutte le istituzioni della Chiesa a partire dalla Pontificia Accademia per la Vita e molti degli organi di informazione paradossalmente compiacenti verso aborto, contraccezione, omosessualismo e delegittimazione della famiglia.

Se la Chiesa ribadisse il proprio millenario magistero nei confronti della vera FAMIGLIA cristiana.

Se venissero eliminate tutte le adozioni straordinarie, diventate poi ordinarie nella prassi quali ministri e ministre, comunione sulla mano, confessione comunitaria.

Se la Chiesa ricominciasse a parlare alle anime.

Se la Chiesa ritornasse a proclamare il Vangelo a tutti gli uomini, confermando che solo in Gesù Cristo c’è la SALVEZZA.

Se TUTTI tornassimo a credere fermamente che la Storia è esclusivamente nelle mani di Dio.

Se il papa ritornasse a fare il Papa, se tutti i vescovi e sacerdoti tornassero a fare i Vescovi e Sacerdoti, i frati e le suore tornassero a fare i Frati e le Suore, le monache e i monaci le Monache e i Monaci, nell’unico esclusivo compito di pregare, annunciare il Vangelo, ribadire la Dottrina Perenne della Chiesa per la salvezza delle anime.

Se il Papa, con tutti i cardinali riuniti in Vaticano, officiassero, prostrati, umilmente ravveduti, una cerimonia solenne di richiesta accorata di perdono, per la spaventosa, diabolica profanazione dell’ottobre 2019 e procedessero ad una maestosa RICONSACRAZIONE dei luoghi sacri oltraggiati, facendo un falò delle canoe, paciamame, priapi, totem, sozzure, oscenità…..

allora il covid-19, le sue origini, mutazioni, connessioni, fisiche e ideologiche, scomparirebbero per sempre dalla faccia della Terra.


Claudio Gazzoli








venerdì 1 gennaio 2021

LA REGOLA DEL GIOCO

 



Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro.
Guai a coloro che si credono sapienti
e si reputano intelligenti. Isaia 5,20-21

C’è una sequenza, nel film del 1939 “LA REGOLA DEL GIOCO” del regista Jean Renoir, in cui uno dei protagonisti lamenta: “vorrei sparire nell’abisso di un pozzo per non dover più scegliere tra bene e male”. Di lì a poco il baratro della guerra trascinerà l’Europa, insieme al mondo, nell’abisso più tenebroso, nella dissoluzione del bene e del male, da cui sarebbe poi risalita, ma solo per la parte “corporale”, mentre l’anima, individuale e collettiva, avrebbe continuato a sprofondare nell’oscurità in cui “tutte le vacche sono nere”, nella liquefazione di ogni differenza.  Nel film che, nella spietata rappresentazione della borghesia,  racconta il crollo dei valori di un’intera società, soccombe chi non obbedisce alla “regola del gioco”, l’IPOCRISIA, che ignora ogni parvenza di regola morale. Dal dopoguerra, i mezzi di comunicazione di massa, con la parte rilevante della televisione, hanno omologato tutta la popolazione al pensiero unico borghese-liberal-positivista, assimilando a poco a poco anche la parte più retriva, tenacemente legata alla tradizione. Paradossalmente il contributo maggiore a questa liquefazione della morale è stato fornito dalla Chiesa Cattolica che ha fatto sparire, nella prassi o “pastorale”, ogni segno di OBBEDIENZA alla Legge di Dio, contaminando il sacro con il profano, per instaurare la totale sottomissione alla “casta illuminata” che occupa il potere.

Per formare un organismo completamente servile non basta il martellamento mediatico da parte di un sistema informativo, ormai completamente asservito ai padroni del mondo, al punto che diventa persino banale evidenziarlo. Occorre demolire ogni forma di OBBEDIENZA alla dottrina immutabile della Chiesa Cattolica, anche da parte degli ultimi superstiti.

La DISUBBIDIENZA si attua in due fasi distinte, la formalizzazione della disubbidienza medesima, mediante pratiche più o meno palesi di induzione, e la sua contestuale certificazione.

Negli ultimi sessanta anni nella Chiesa Cattolica le forme di disubbidienza alla Legge Divina, alla Tradizione, alla Dottrina Morale, alla custodia del deposito eccelso lasciato dal Fondatore  sono innumerevoli, con una accelerazione fortissima negli ultimi anni. Così vale per la demolizione della Liturgia, la banalizzazione dei Misteri della Fede, la costante incoerenza, introdotta nella prassi, verso i principi del Catechismo, fino ad arrivare alla inverosimile, inaudita disubbidienza verso il primo dei Comandamenti di Dio, nell’idolatria più sfrontata,  consumata e mai sconfessata, sul soglio di Pietro il 17 ottobre del 2019, a pochi mesi dall’insorgere di questa che chiamano pandemia, che ora la chiesa, non casualmente, invita a contrastare con un’altra clamorosa disubbidienza, mascherata da un ipocrita senso di responsabilità.

Tra le forme di induzione, da non considerare marginale, perché parte del piano, vi è la recita del nuovo Padre Nostro della messa. Prima si continua a recitare “preghiamo insieme come Nostro Signore ci ha insegnato” poi si recita come Gesù non ci ha insegnato. Ma questi non sono stupidi, sanno benissimo che quella non è la preghiera recitata da Gesù. Vogliono intenzionalmente creare una discrasia, mediante la “regola del gioco” dell’ipocrisia, una disubbidienza che mantenga fertile il terreno in cui il popolo dei fedeli viene sistematicamente trasformato. E questo in modo lento, inesorabile, come hanno fatto negli ultimi 60 anni ed ora in modo più manifesto, anzi arrogante. Solo che, nonostante i loro faccioni sempre sguaiati, di un riso fasullo e forzato, la religione non è un gioco perché non è un gioco la Croce.  Non più fedeli agli insegnamenti di Gesù, ma seguaci degli insegnamenti del mondo.

Ora non solo l’uomo si avvale della propria libertà decidendo autonomamente che cosa è bene e che cosa è male, pure capovolgendolo, rigettando la legge morale che viene da Dio, anzi negando ogni separazione, ma continua a mangiare i frutti di quell’albero della conoscenza, posto al centro del Giardino, equiparandosi a Dio o soppiantandolo. Questa pervicacia, che proviene dalla propria divinizzazione, è il prolungamento del Peccato Originale. Ma ciò all’uomo di oggi non basta. Egli sta, per la prima volta, dalla cacciata dal Paradiso Terrestre, profanando, anche se in modo simbolico ma non meno autodistruttivo, l’albero della vita, rifiutando i suoi frutti perché si è costruito, apparentemente con le proprie mani, abusando del proprio ingegno che gli viene da Dio, frutti “creati in laboratorio”, che superbamente considera migliori di quelli, senza sapere che, così facendo, sta adulando la morte eterna, come il serpente provocatore gli suggerisce. Una delle attestazioni di tale profanazione, pretesi in permuta dal serpente come vittime sacrificali sull’altare della morte innalzato sul tronco tagliato dell’albero della vita, sono i cinquanta milioni di bambini non nati ogni anno, barbaramente squartati prima della nascita. È la certificazione, così gli viene richiesto, della seconda grande disobbedienza. La profanazione immateriale dell’albero della vita, in questa deriva malefica, sostenuta o non duramente combattuta, in una antinomia sconcertante, dai vertici della chiesa, può essere considerata il “nuovo Peccato Originale”.

Una chiesa che disubbidisce alla legge di Dio e antepone, di gran lunga, alla tensione spirituale, i bisogni corporali, tutti, quelli alimentari, sanitari e soprattutto quelli sessuali, di tutte le specie, arrivando persino a porre dubbi sull’elemento base della convivenza cristiana, la famiglia, accetta fatalmente la regola del gioco del serpente antico.

Claudio Gazzoli – Monterubbbiano (FM)







domenica 20 dicembre 2020

IL NATALE DI NONNA CARLOTTA

 


Ritornavo dalla passeggiata pomeridiana con mio nonno, approfittando del sole di una giornata fredda di dicembre, a ridosso del Natale, lungo la strada di campagna che, costeggiando la chiesa, arrivava fino alla fontana con la vasca e la sponda in pietra inclinata, il lavatoio pubblico dove le donne di questo piccolo sobborgo, a ridosso delle mura del paese, andavano, con il canestro o la tinozza di zinco, a lavare i panni. Come tutte le strade di campagna era di terra battuta da centinaia di anni di carri trainati dai buoi con il carico di fieno, grano, paglia, farina, legna. Al centro vi cresceva l’erba che creava le due corsie per camminare, quando era asciutto e il percorso adatto per non infangarsi, dopo la pioggia. Mio nonno era alto con i capelli bianchi che gli davano un portamento che, unito al suo camminare impettito, lo faceva sembrare austero ma anche più burbero di quanto non fosse. Parlava poco, come tutte le persone anziane di allora, pesando le parole, con quella intonazione malinconica che faceva trasparire una sofferenza celata, un decoro semplice e onesto. Aveva trascorso molti anni della sua vita in America a Filadelfia lavorando in un grande calzaturificio e inviando alla famiglia i soldi per sopravvivere e per far studiare mio zio che, a ridosso della maturità classica, decideva di entrare in seminario per farsi sacerdote. Mi piaceva camminare su quella strada, perché arrivava in piena campagna in mezzo ai campi di grano appena spuntato, con i lunghi filari della vite sostenuta dagli aceri e il silenzio assoluto interrotto solo dallo stridio del falco, che mio nonno prontamente mi indicava. In questa stagione in cui fa già notte nel  pomeriggio, ci andavo da solo, anche se con un certo timore, per vedere la via Lattea e immergermi in quel fiume di stelle affondato in un buio profondo che, nel giro di qualche anno, non avrei più rivisto. Rientrammo da una porta laterale, nella canonica, contigua all’abside del santuario dedicato alla Madonna. All’inizio della scala che portava al piccolo alloggio percepii un lamento che, salendo, diventava più simile ad un pianto. Non avevo mai visto mia nonna piangere. Era nata alla fine dell’ottocento, aveva visto due guerre devastanti, un’epidemia violenta, una vita faticosa attraversata con la dignità solenne delle donne di una volta. Aveva atteso per otto anni il ritorno dell’altro figlio dalla guerra e non avrebbe mai superato il rammarico di non averlo riconosciuto, quando era rimpatriato, uno degli ultimi prigionieri rilasciati. Quelle donne raramente piangevano. Se ne stava accasciata su una sedia e mentre cercavo di capire che cosa fosse accaduto, mi accorsi che sul pavimento di mattoni c’erano due pezzi scuri, con attorno carboni e cenere sparsi, che subito riconobbi come le due parti spaccate del ferro da stiro in ghisa. Adesso, dopo tanti anni, in un mondo completamente cambiato, non si capirebbe perché piangere per un vecchio elettrodomestico, così si chiama ora, rotto. Anzi, sarebbe l’occasione per rifarlo nuovo, supertecnologico, a vapore surriscaldato, magari ordinandolo su internet, farlo arrivare direttamente a casa, dopo aver viaggiato per diecimila miglia da un paese lontano da cui arrivano tutte, ma proprio tutte le cose che ci “contagiano” di felicità... Allora, invece, in pieno medioevo, soprattutto nei nostri paesi e nelle nostre campagne, prima dello tsunami della modernità, un ferro da stiro in ghisa, con il manico di legno e il coperchio per riempirlo di brace, uscito dalla bottega di un artigiano del luogo, con la base fornita da una fonderia poco distante, costituiva un piccolo patrimonio, come la pentola in rame stagnata, la graticola, lo scaldaletto, la lampada ad acetilene, il mortaio, il macinino, il setaccio. Nasceva un rapporto intimo con essi, quasi a prolungamento delle mani e della mente, collaboratori dell’essenziale di una vita fatta solo di bisogni primari e perciò elevati. Lo aveva usato a lungo il giorno prima, per stirare le camice di mio zio, tutte senza colletto, da indossare sotto la tonaca e il collarino, mentre teneva il camino acceso, approfittando del fuoco per cuocere le erbe per la cena e poi conservando l’acqua da tenere in caldo per riempire le bottiglie di ottone, con le quali scaldarsi i piedi nel letto. Quello stesso pomeriggio avevo aiutato mio zio, in chiesa, a sistemare il presepio, dopo aver raccolto il muschio più fresco e avermi fatto scegliere il bambinello per la notte di Natale. Erano statue giganti, rispetto alle mie, alcune in carta pesta, dai lineamenti delicati, lo sguardo mite e adorante. Era un Natale speciale perché le pareti interne, il soffitto e i mosaici dorati, erano stati fatti ripulire da mio zio e il santuario appariva risplendente, in piena armonia con la bellissima statua bianca della Madonna adornata di una corona d’oro. Ero felice anche perché mia nonna avrebbe preparato le frittelle con lo strutto di cui andavo matto. Ma adesso non sapevo che cosa dire a lei, affranta, che si era ancora di più abbattuta quando mio nonno le disse che lo avrebbe ricomprato al mercato di un paese lì vicino. Non si dava pace per il fatto che le fosse sfuggito senza riuscire a riprenderlo. Ma non aveva il tempo per continuare ad affliggersi perché quel pomeriggio doveva preparare le ostie, con lo stampo arroventato e la pastella di acqua e farina. Mi piaceva aiutarla a staccarle mentre mi gustavo gli scarti. Non era stata una serata come le altre perché mia nonna non aveva superato lo sconforto e, dopo la cena frugale e le preghiere recitate da mio zio, davanti al caminetto, mi aveva preparato per andare a dormire. Il mio letto, accostato alla parete, nella camera dei nonni, aveva un materasso di "sfogli" di granturco, nel quale mi piaceva sprofondare, soprattutto in quelle serate gelide, dopo le prime nevicate invernali.

La mattina dopo era ancora una giornata serena e fredda e, attraversando la chiesa per uscire sulla piazzetta inondata dal sole, avevo notato mia nonna seduta davanti al presepio, in silenziosa venerazione. Non la vedevo quasi mai in chiesa, se non per assistere alla messa e, qualche volta, alla recita del rosario. Pensai che fosse per consolarsi del ferro da stiro. Il pomeriggio le tenevo ancora compagnia, mentre preparava altre ostie che servivano per i numerosi giorni di festa che si avvicinavano, quando sentimmo rintoccare la campanella del portone della canonica. Rimasi in cucina, mentre mia nonna scendeva le scale per andare ad aprire. Si aspettava una delle solite persone che volevano parlare con mio zio, invece si trovò davanti un signore che non aveva mai visto, non molto anziano, con una barba curata, dall’aspetto gradevole e pacato, gli occhi scuri, come pure i capelli ondulati fin quasi sulle spalle. Era vestito in modo insolito, con un mantello di lana grezza, marrone scuro, ma ciò che la colpiva di più, era il fatto che non indossava i pantaloni ma una tunica lunga fino ai sandali, di foggia mai vista. Sorrideva mentre le porgeva una scatola di legno, lucido come il comò della sagrestia. Non aveva avuto il tempo di ringraziarlo e di chiedergli chi fosse perché si era subito dileguato. Ammiravo la scatola poggiata sul tavolo della cucina, mentre mia nonna la guardava sorpresa, non immaginando che cosa potesse contenere. Si capiva che era fatta da una mano esperta, le pareti non erano perfettamente lisce ma dava un’idea di solidità anche per gli incastri magistrali tra le parti in legno, come sapevano fare i falegnami di una volta. Aveva un coperchio con cerniere di ferro battuto, chiuso con un incastro. Finalmente decise di aprirlo, con un leggero sforzo. C’era della paglia che, una volta smossa, mostrava un manico di legno che mia nonna afferrò con impazienza. Si sedette e cominciò a piangere, stavolta per la sorpresa e la gioia, quando scoprì che si trattava di un ferro da stiro, identico a quello rotto, ma nuovissimo.

La lasciai sola, avevo voglia di correre lungo quella strada, fino al lavatoio e, attraversando a passo svelto la navata del santuario, passai accanto al presepio e mi parve che San Giuseppe mi avesse sorriso.

Claudio Gazzoli





domenica 13 dicembre 2020

OLTRE L'INDECENZA

 


Questa accozzaglia di figuri che, con una violenza al nostro intelletto di uomini normali, vorrebbero chiamare “presepe”, ma che invece sembra riprodurre icone di statue precolombiane, in piena sintonia con l’inebriamento amazzonico della chiesa, rappresenta il punto di arrivo di un percorso studiato a tavolino, dove proprio niente è casuale, in quest’anno in cui invece tutto sembra esserlo, ma non lo è affatto. Lo smantellamento della nostra natura primordiale, l’abrogazione definitiva del legame tra il presente e la storia, la demitizzazione del sogno, la delegittimazione della persuasione, la frantumazione del buon senso, la cancellazione furiosa della tradizione, la mortificazione diabolica della pietà popolare. Vogliono sostituire, non solo in campo religioso, i nostri archetipi di pensiero e di immaginazione con i modelli astratti dell’utopia nefasta della "nuova creazione". Non mi interessa chi lo ha realizzato e neanche chi lo ha ideato. Penso invece a chi lo ha commissionato e a chi ha approvato la sua installazione nella piazza simbolo e centro della cristianità, che piuttosto dovrebbe avere una decenza commisurata al suo ruolo. Ormai quello che a noi comuni mortali appare ovvio non lo è per queste menti singolari che hanno ricevuto dal loro interlocutore privilegiato una apparente superiorità. E questo vale per l’opportunità, per il valore simbolico, per la sacralità, per il messaggio, per l’importanza, in quel luogo e nei ricoveri delle nostre anime smarrite, dell’altissima rievocazione. Gesù non è moderno, è ETERNO. Aldo Maria Valli ha colto nel segno sottolineando: “…se poi avete con voi un bambino, impeditegli di guardare. Potrebbe restarne segnato”. Non credo ci fosse ironia in questa espressione ma, piuttosto, consapevolezza della smisurata offesa fatta soprattutto ai bambini, alla loro innocente immaginazione, per la quale Maria, Giuseppe e Gesù bambino dovrebbero, ovviamente, avere i contorni familiari della dolcezza, della bellezza genuina e umile, della purezza compiuta. Devono avere l’affinità naturale con le nostre sembianze, esaltata dalla santità. Solo che a loro dei bambini non interessa l’innocenza… San Francesco, a cui dicono di rifarsi, piange mortificato a guardare questa mostruosità. Come ho già espresso altrove, per lo scandalo che stanno sistematicamente dispensando, farebbero bene a legarsi una macina di mulino al collo e gettarsi in mare, nel tentativo di mitigare il supplizio, in virtù di un pur tardivo pentimento.

Non il simbolo rassicurante del Santo Natale ma totem dell’antinatale dell’antichiesa dell’anticristo.

Claudio Gazzoli

 

P.S.

Dedicato agli intellettuali, fini dicitori, sempre equidistanti, che ci chiedono, petulantemente, le prove.



il vero presepe... che fa venire le crisi epilettiche al diavolo e ai suoi emuli.......









venerdì 11 dicembre 2020

LA VERA MESSA

 


Facciamo sessanta chilometri per assistere alla messa in rito antico, in una diocesi vicina, perché nella nostra non viene celebrata. Entrando in questo bellissimo Santuario Mariano, in muratura e pietra, grandi colonne, archi e volte, la luce diffusa dei lampadari di Murano al posto di quella invadente, accecante dei riflettori, tre navate spaziose e lunghe file di banchi con inginocchiatoio, si viene accolti nella casa di Dio, come nel Tempio di Gerusalemme, come nelle basiliche cristiane sorte sulle fondamenta dei templi profani, come nelle chiese delle nostre parrocchie che accoglievano i fedeli fino alla rivoluzione post-conciliare e postsessantottina, fino alla disgustosa architettura liquida della modernità.

Ma non è il nostro corpo, quale espressione fisica, che interessa a Gesù, non la nostra “sensibilità”, le nostre inclinazioni, i nostri sensi, le nostre attrazioni, il nostro profano sentimentalismo. A Gesù interessa la nostra anima con la quale unicamente possiamo avvicinarci a questo mistero infinito del santo sacrificio, con l’unico mezzo della sottomissione totale al Suo giogo, come ci invita Gesù stesso:

«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Matteo 11, 28-30.

Sento spesso dire, da parte di fedeli e religiosi, che arrivano persino a detestare la messa in rito antico: “ma non si capisce niente, il latino poi !, il sacerdote dà le spalle ai fedeli, non c’è partecipazione, c’è troppo silenzio….”. Dinieghi che nascondono capricci, che invertono il vero orientamento dell’atto liturgico rivolgendolo verso l’uomo. Intenzioni terrene che non hanno nulla, ma proprio nulla a che fare con quelle che dovrebbero essere le disposizioni dell’anima. Sottomettersi al Suo giogo vuol dire accantonare il nostro io per partecipare, sulla salita del Calvario, alla sua passione. La messa in rito antico, per la sua monodirezionalità, il suo rigore formale, la sua completa finalizzazione alla “rinnovazione incruenta” del Sacrificio ci mette in tale disposizione. Ogni paramento, movimento, gesto, silenzio, parola sono rivolti al mistero di tale riproposizione. Ogni passo, comprese le letture dell’epistola e del Vangelo, è preghiera altissima di riverenza e sottomissione. Fin dal suo incipit dichiarato dal celebrante: «Introíbo ad altáre Dei» (“salirò all’altare di Dio”) siamo chiamati ad assistere e poi straordinariamente trasportati sulla via del Calvario, alla dolorosa, straziante, tragedia di Gesù che si umilia fino all’estremo sacrificio e, mortificando sé stesso, induce la nostra mortificazione, senza la quale nessuna salvezza è possibile. Possiamo fare compagnia alla Vergine Maria, a Giovanni e a quelli che vi hanno assistito. Possiamo affidarci a questo prodigioso annullamento del tempo e dello spazio per partecipare a quell’evento, sulla strada molto lieve per noi, ma immensamente grave per Lui, fino a quella leggera altura. Possiamo giovare dell’effetto continuo sul nostro pensare, che si prolunga oltre l'EST finale, sulla nostra vita, sul nostro umore, di quel poderoso ridimensionamento delle nostre velleità. Ma solo se siamo disposti a piegarci sotto il suo giogo.

Poi, dopo la messa, l’altare viene “smontato”, suppongo “obtorto collo”, dai religiosi devoti e decorosi di questo santuario, per trasformarlo in mensa eucaristica per la messa successiva. Dove prima c’era Gesù ora c’è il sacerdote che, invece di rivolgersi a Lui, si rivolge verso il popolo, mentre Gesù è relegato di lato, quando va bene. Nella metafora paradossale di questo cambio di scena  vi è tutta la dignità solenne che separa la tragedia dalla parodia.

Negli ultimi 50 anni, ci siamo illusi di soggiogare Dio alla nostra vanagloria, abbiamo voluto essere noi i veri, pervicaci protagonisti del palcoscenico al quale abbiamo costretto la infinita bontà di Gesù.

Dio ci offre questa sublime opportunità e noi la dissipiamo in un convivio in cui vi si concelebra la nostra penosa autorappresentazione. Abbiamo preferito l’aspetto conviviale al sacrificio, perché più in linea con la nostra odierna sensibilità che esclude la sofferenza, a favore del godimento artificiale del simulacro che ha spodestato il nostro corpo nella sua intima relazione con l’anima.

Tutto è diventato funzionale alla convivialità, il carosello delle letture, le imbarazzanti intercessioni per i “nostri governanti”, le omelie di frequente matrice politico-sociologico-ambientalista, le melodie smelenze, spesso dissonanti, l’isteria funzionale delle traduzioni, lo scompiglio patetico dello “scambio della pace”, quella finta, perché quella vera viene solo da Gesù, fortunatamente interrotto dal coronavirus, la signora in tailleur e tacchi a spillo che distribuisce l’eucarestia come caramelle, i partecipanti rigorosamente in piedi durante il rito, peraltro brevissimo, della consacrazione. Per una capovolta, ma strumentale, applicazione dell’ecumenismo, il padre non attende più il ritorno del figlio prodigo, nella speranza del pentimento, ma va in cerca di lui, neanche lontanamente ravveduto e, nondimeno, adulato, condividendone le sozzure della porcilaia.

La bellezza eccelsa dell’arte sacra sostituita dalla bruttezza infima, non già come opinione, ma come archetipo nefasto della mente. Come la bellezza era un omaggio a Dio così la bruttezza è un omaggio al suo sgradevole antagonista, di cui le immagini inquietanti presenti nella nuova versione del messale costituiscono solo la naturale prevedibile evoluzione.

Abbiamo repentinamente smantellato il patrimonio che Lo Spirito Santo ha suggerito in modo graduale, negli ultimi duemila anni. Solo gli uomini, con le loro tenebrose associazioni, fanno le rivoluzioni, quella del 1789, del 1861, del 1917 e, in ultimo, quella conciliare.

Anche se può sembrare un’utopia, sono convinto che per mettere termine alla rovina devastante della chiesa di oggi e a tutte le sue conseguenze catastrofiche in senso morale e materiale, alla deriva diabolica della nostra appartenenza, agli abusi arroganti della Sua misericordia, ai peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, sistematicamente praticati e favoriti in questi ultimi anni, la Chiesa, nella persona del papa e di tutti i cardinali, deve avere il coraggio di tornare alla liturgia e al rigore preconciliare, deve chiedere perdono a Dio di tutte, ma proprio tutte, le innumerevoli profanazioni, deve pentirsi pubblicamente delle abominevoli idolatrie compiute persino presso la tomba dell’Apostolo,  deve tornare ad ingraziarsi il favore di Dio, applicando la RETTA DOTTRINA,  cominciando con il ridare dignità al VERO SACRIFICIO della messa.

Claudio Gazzoli – Monterubbiano (FM)








lunedì 30 novembre 2020

CUPE ANALOGIE

 



A sinistra le immagini tratte dal Nuovo Messale Romano 2020, quello in uso in tutte le chiese del mondo. La scena in alto a destra è tratta dal film Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick.




domenica 15 novembre 2020

OLTRE LA DECADENZA

 



Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d'afflitte fortune ognor compagna

Una chiesa provvisoria, in una piccola contrada di campagna, una specie di capannone a forma di croce greca al posto della chiesa in restauro. Sono qui perché un prete “normale”, forse l’unico della mia diocesi, celebrerà la messa. Una decina di persone in attesa sulle poltroncine imbottite da aula di formazione, che conversano amabilmente di raccolto, della pioggia che non viene mai, de “lu porcu da scannà”.

Di solito mi vado a cercare un posto dove arrivi poco la luce accecante dei riflettori, in questo caso sostituiti da illuminatori industriali, del tipo di quelli che si usano nei supermercati. Lo avevo trovato in fondo, dove comunque c’era una luce con cui, se non mi turbassero la prima e l’ultima pagina del foglietto, avrei potuto tranquillamente leggerlo. Il sacerdote, vedendo occupare anche quella zona della chiesa, forse per un atto di cortesia, come quando si riceve un ospite a casa, ordina alla assistente di turno di accendere la luce. In un baleno uno sfolgorio, come fari abbaglianti, ci colpisce e ci espone sul palcoscenico dell’assemblea nella quale vorremmo, invece, sentirci nulla davanti a Dio. Avevo l’interruttore vicino ed è stato un gesto quasi automatico spegnerlo e cercare, finalmente, un po’ di raccoglimento. Solo che, iniziata la lettura del Vangelo, il prete, bruscamente si interrompe e, richiamato da qualcosa evidentemente più importante, punta il dito verso di noi e fa: “ma state al buio, accendete quella luce….”. Avrei voluto dirgli, ma non l’ho fatto, per rispetto dell’atto liturgico, che non era necessario perché non eravamo lì per un ricevimento, ma per una Luce che nessun faro artificiale può rimpiazzare, che neanche il sole può sovrastare.

Questo episodio, solo apparentemente banale, perché rappresentativo di un disegno già realizzato,  mi ha fatto venire in mente la più struggente, ma anche profetica, poesia del mio conterraneo, Leopardi. Un po’ sprovveduto, pensando di trovare “la luna” nel girovagare alla mercé di amici scriteriati e opportunisti, dopo aver rinunciato alla sua terra bellissima ma arcaica, luminosa ma “oscurantista”, si ritrova su un casolare alle pendici del Vesuvio, malato ma ispirato. Qui, componendo il suo testamento poetico, “La Ginestra”, la fa precedere da una perifrasi che non ci si aspetta: «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce» (Giovanni, III, 19). Si potrebbe pensare, ad una prima affrettata valutazione, che il poeta si fosse convertito, sentendo approssimarsi la fine. Solo che, invece, molto astutamente e in senso anticristiano, ribaltava il significato della “LUCE” con quello che noi intendiamo per “TENEBRE”: “gli uomini vogliono LE TENEBRE della superstizione religiosa piuttosto che la LUCE della presa di coscienza della verità”. È profonda ed incolmabile la sua delusione nei confronti degli intellettuali del suo tempo, che avevano “snaturato” i principi dell’illuminismo per orientarli verso “le magnifiche sorti e progressive” invece di avvalersi della consapevolezza del proprio stato per realizzare la “social catena” (fratellanza ?) tra tutti gli uomini.

“La Ginestra”, per il suo appello senza speranza, per il suo richiamo malinconico ad un passato perduto, per la sua consapevole incongruenza, può essere considerata un inno sconsolato alla DECADENZA. La perifrasi, tratta dal Vangelo di Giovanni, scaltramente capovolta, è coerente con la rappresentazione di una decadenza alla quale, pur inconciliabile con il nostro credo, si può concedere l’onore delle armi, anzi una decadenza nobile e ineluttabile insieme, perché rivela la fedeltà ai valori della tradizione, come nel colloquio, amaro e disilluso, del Principe di Salina con il messo piemontese, nel Gattopardo.

Ora, invece, si respira un’aria di disfacimento, come uno stagno di alghe e rane in decomposizione, un tanfo insopportabile con il quale hanno ricalibrato le cellule olfattive della gran parte della popolazione. La decadenza ha i toni tenui, come i colori dell’autunno, che avverte della fine della buona stagione, come quelli del crepuscolo che anticipa la notte. Nella decadenza c’è una speranza, la speranza del giorno nuovo, la speranza di una nuova età dell’oro. Nel disfacimento c’è il NIENTE.

Mi è capitato di leggere, per un caso fortuito, perché non me lo vado a cercare, un brano della lettera di auguri ai “Fratelli Indù” da parte del segretario della CEI: «la “vostra festa” simboleggia la vittoria della luce sulle tenebre, della verità sulla menzogna, della vita sulla morte..». Bene, ma la CEI, portavoce dei vescovi italiani e, quindi, della chiesa, non dovrebbe ribadire, costantemente, con forza, quello che Gesù ha detto «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» ? Pertanto, la VITTORIA DELLA LUCE SULLE TENEBRE non spetta solo a Gesù ?.

Siamo tenuti ad applicare la logica ferrea del «SI - SI, NO - NO»,  la logica inconfutabile della proprietà transitiva: se A la pensa come B e B la pensa come C allora A la pensa come C.

Se “Avvenire” che è il portavoce della CEI e quindi della chiesa sostiene fortemente lo sdoganamento del peccato di sodomia e della omosessualità allora vuol dire che i vescovi italiani e la chiesa pensano che la sodomia vada sdoganata e la omosessualità accettata.

Se i vescovi statunitensi appoggiano manifestamente e fervidamente il candidato ultra-abortista e delegittimatore della famiglia allora vuol dire che la chiesa, ovviamente quella visibile, è a favore dell’aborto, delle famiglie omo e della pratica scellerata dell’utero in affitto. Se la maggioranza dei religiosi italiani dà il proprio “consenso elettorale” ad un partito che propone la pillola abortiva, le unioni civili delle coppie anormali, la diffusione della pazzesca “teoria gender” nelle scuole, allora vuol dire che la chiesa è favorevole alla pillola abortiva, alle famiglie anormali, alla “teoria gender”.

Se si dichiara che è “PAROLA DI DIO” allora deve essere letta e pronunciata così come è scritta. Questo vale, ad esempio, per il termine greco originale “eisénkēs”, tradotto sapientemente e correttamente da San Girolamo con “inducas” e poi, in volgare, con “indurre”. La nuova traduzione, che ci stanno imponendo, per motivi di metamorfosi ideologica, di perversa esegesi storicistica, di buonismo strumentale al nuovo corso è pura mistificazione diabolica.

Ora la chiesa visibile ha di nuovo ribaltato la sublime affermazione di Giovanni, perché sono ATEI, credono solo alla luce della loro ragione e dei loro istinti, o alle “ragioni” che il pensiero corrente vuole imporre al mondo intero. Credono solo al loro infido suggeritore. Il risultato non è la DECADENZA ma il DISFACIMENTO.

La nuova chiesa si inchina ai poteri forti del mondo, come, nella poesia, le ginestre sulle pendici del Vesuvio, si piegano al vento infuocato eruttato dalla bocca del vulcano, direttamente comunicante con i recessi sconfinati dell’averno.


avevo già pubblicato:

https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2020/01/la-vera-luce-le-vere-tenebre.html

https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2018/11/cambiato-anche-il-padre-nostro.html




PS del 23.11.2020

Leggo dal sito “Chiesaepostconcilio” la seguente dichiarazione rilasciata dalla monaca benedettina Suor Teresa Forcades, ormai famosa, al giornale “Repubblica”:
Credo che il matrimonio omosessuale debba essere riconosciuto come un sacramento perché ciò che costituisce il sacramento del matrimonio è ciò che questo particolare legame umano ha in comune con la vita della Trinità e la vita della Trinità non ha nulla a che fare con la complementarietà di genere o sessuale e niente a che fare con avere figli”.
Può sembrare uno scherzo di cattivo gusto, ma non lo è. Non entro nel merito di questa dichiarazione squilibrata, pure un bambino al primo anno di Catechismo, quello vero, capirebbe che si tratta di una bestemmia, anzi di un peccato contro lo Spirito Santo (n. 3 – impugnare la verità conosciuta), nonché di uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio (n. 2 – peccato impuro contro-natura), rilevo soltanto che dopo anni in giro per il mondo a propugnare la satanica teologia “queer” (termine già da solo ripugnante) nessuno, dico NESSUNO, della gerarchia della chiesa si è preso la briga di confutare queste  inverosimili PORCATE, anzi, il vescovo José Tolentino Mendonça ne ha elogiato i meriti, meritandosi, per questo, l’onore di condurre gli esercizi spirituali di Bergoglio e dei suoi scherani, la promozione ad un incarico prestigioso in Vaticano e, infine, la elezione a cardinale.
Per far capire meglio il livello di diffusione di questa nuova “frontiera”, qualche tempo fa’ chiesi ad una madre badessa di commentare un articolo di questa “consorella”, ma lei si rifiutò di prendere posizione… Da allora non ho più frequentato quel monastero.
Conosco sacerdoti che sono stati emarginati o perfino sospesi a divinis solo per aver difeso, strenuamente, la Dottrina della Chiesa. Se nessun cardinale o vescovo si ribella davanti a questo continuato sacrilegio allora vuol dire che sono tutti complici del progetto di distruzione della Chiesa Cattolica. Allora vuol dire che con questa chiesa parallela, depravata e corrotta, sottomessa al principe delle tenebre, non possiamo sentirci in unione. Allora vuol dire che questa “chiesa alla rovescia” è proprio la chiesa preparatoria dell’anticristo!!

http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2020/11/suor-teresa-forcades-e-la-nuova.html