Da qualche tempo ho deciso di non entrare nei ristoranti dove tengono la televisione accesa, ma qualche giorno fa’ non ho potuto farne a meno perché avrei messo in difficoltà alcune persone che erano con me. Così mi è toccato sorbirmi 10 minuti di telegiornale, altrettanti di pubblicità e poi alcuni video di cantanti che pensavo ormai morti e sepolti. Sì, ma che tristezza vedere che non hanno il minimo pudore a fare espressioni, movenze che pure quando erano nel fiore dell’età apparivano patetiche. Però ho potuto sapere che c’è in corso un campionato mondiale di calcio di cui ignoravo pure dove si svolgesse e, quando ho pensato “ma che c’entra!” ho considerato che lì scorrono fiumi di dollari per un “gioco” nel quale mi dicono che un calciatore francese guadagna 100 milioni di euro all’anno e solo per saper dare quattro calci ad una palla di plastica. Un buon motivo per starne alla larga… Dopo l’iniziale sbigottimento in cui mi sono sentito osservato come un Neanderthal con la pelle d’orso e la clava, «come non lo sapevi ?!!... », «no, non lo sapevo», «ma allora non guardi la televisione e non leggi i giornali !», «ehhm, no, non guardo la televisione e non leggo i giornali», «mai seguito il calcio in vita tua ?!», «certo, ho scelto persino di fare l’università nella città della mia squadra del cuore...», «ma allora ?»…. non me la sono sentita di proseguire anche perché non avrebbero capito, ma mi è venuto in mente Qoelet: “un tempo per demolire e un tempo per costruire” e Sant’Agostino: “solo le pietre e gli imbecilli non cambiano mai”.
Ho cercato di non guardarla ma non ho potuto non ascoltarla perché il volume era molto alto e non potevo neanche fare come in chiesa, quando non voglio sentire l’omelia, dove ho imparato a tapparmi gli orecchi e a fare piccole pressioni con le mani per sovrastare gli altoparlanti. Ho provato ad estraniarmi dalle solite discussioni sul calcio, diventato ormai il collante della comunicazione tra persone che, altrimenti, non avrebbero niente da dirsi. Altro che la “seconda navigazione” auspicata da Platone, qui il vento della trivialità soffia costantemente sulle vele spiegate della nave di questa crociera verso il nulla. Ho pensato, ascoltando le parole e alcune immagini della pubblicità e delle canzoni, quale sconfinato oceano ha attraversato l’uomo da quando ero bambino. Il mio era il mondo delle inibizioni, dei tabù, del peccato e tutto ciò aveva un senso se, come sostiene lo stesso Claude Levi Strauss, uno dei padri della moderna antropologia, è grazie ai tabù, in particolare quello dell’incesto, che l’uomo è passato dal “puro stato di natura” alla società umana. Ora tutti i tabù sono stati cancellati, anzi, sono diventati il loro esatto contrario, le licenze, le trasgressioni sulle quali è fondata la nostra epoca, la cultura e persino l’economia. Ma è proprio così? In fondo l’uomo dei tabù non può fare a meno, proprio perché hanno costituito la molla che lo ha affrancato dallo stato animalesco; se vogliamo, per noi credenti, la leva con la quale è risalito dallo stato post Peccato Originale alle prime società organizzate, il riparo subito cercato da Adamo ed Eva per cercare di coprirsi le parti nude, diventate subito imbarazzanti. Non è difficile individuare, per chi ha conservato un barlume di consapevolezza, in questi ultimi tre anni, questo nuovo, gigantesco, innominabile tabù, che consiste nel veto assoluto sul discutere di quello che loro chiamano “vaccino” e di tutte le sue implicazioni sanitarie, politiche, morali, religiose.
Ora, nella società che ha liquidato tutti i tabù originari, emerge enorme, spaventoso, vischioso, contagioso, regressivo, annientatore, soggiogante, ipnotizzate, demoniaco, il tabù della verità.