martedì 10 ottobre 2017

UN RICORDO del PROF. CARLO FERRARI del POLITECNICO DI TORINO




Dopo tanti anni vorrei ricordare Carlo Ferrari, professore universitario del Politecnico di Torino. Ingegnere e ricercatore di fama mondiale, membro di varie Accademie internazionali, grande esempio, di sapienza e umiltà insieme ma anche abnegazione, consapevolezza del proprio ruolo, carisma. Se solo potessimo tentare di imitarlo....


Professionalmente sono in attività da quasi 40 anni, cosciente della desolazione culturale, morale, sociale nella quale riversa, inconsapevole e ammaliato, questo sfortunato paese. Uno degli slogan più noti, “il futuro è già qui”, descrive in modo esemplare tale condizione. La frenesia di proiettarsi nel futuro destituendo il presente e cancellando il passato, apparentemente infantile, irresponsabile, immorale ma invece strumentale e faziosa al tempo stesso, rientra in un disegno, in gran parte riuscito, che, paradossalmente viene da lontano, di eliminazione della memoria, quale fonte della identità individuale, che si vuole, forzatamente, omologare. Una delle conseguenze, ma anche delle cause, di tale contesto è la estrema miseria (è ovvio solo in senso figurato) di chi dovrebbe scegliere, organizzare, controllare, dirigere, a partire dai più alti gradi. In questo contesto le persone veramente competenti, oneste, idonee, che pure ci sono, devono nascondersi per non provocare la gelosia e la protervia del potere, per non essere estromessi come gli intrusi di un alveare.
Credo invece che l’unico modo per tentare di risalire la china sia guardare a quanto di buono c’è nel nostro passato, renderlo proficuo. Nel mio passato il Prof Carlo Ferrari ha il rilievo di un gigante.
Nel 72/73 l’ho avuto nel corso di Meccanica applicata alle Macchine. Aveva già 70 anni, era il suo ultimo anno prima del pensionamento. Conservo gelosamente il quaderno di appunti e ho un ricordo vivo delle sue lezioni. Fin dalla prima lezione, ho capito che l’uomo che avevo davanti, certamente di età avanzata, minuto di corporatura, leggermente curvo, manifestamente schivo ma vivace, acuto, capace di riempire di formule tutte le sei lavagne disponibili, in modo ordinato, preciso, con quella chiarezza che può avere solo chi possiede in pieno la disciplina, non era un normale professore. Aveva una rara autorevolezza, una passione per la materia che traspariva in ogni suo gesto o espressione, un entusiasmo formativo per l’insegnamento, qualità che si possono certamente sintetizzare nella parola “carisma”.
Ricordo in particolare le lezioni dedicate al moto dei fluidi con lo sviluppo delle equazioni di Navier-Stokes, senza l’uso sintetico di operatori differenziali, ma con tutti i loro numerosi termini in bella evidenza. Grande teorico della meccanica e dell’aerodinamica, membro di diverse accademie internazionali, ma anche grande ingegnere, usava quella rappresentazione analitica perché aveva davanti futuri ingegneri ai quali interessa il risultato concreto delle infinite applicazioni di tali equazioni. Così il passaggio dal generale al particolare, come la teoria elementare della lubrificazione, è la più alta lezione di sintesi, di semplificazione della complessità, di percezione di quello che conta veramente, a scapito del superfluo, che abbia mai avuto la fortuna di ricevere. Seguire tali lezioni non ha avuto solo una decisiva importanza nella formazione ingegneristica, ma ha dato un notevole contributo sulla strada tortuosa verso la consapevolezza. Non la disciplina fredda del “calcola o crepa” inciso su un banco dell’aula 1, ma l’ingegneria quale modello di conoscenza, metodo di ricerca della migliore soluzione.
Ricordo un convegno, organizzato in quel periodo presso l’Istituto di Aeronautica dove, alla presenza di numerosi ricercatori e luminari nazionali e internazionali, tenne una lezione su argomenti di aerodinamica transonica. La sua capacità espositiva, unita alla sua vivacità intellettuale, sapevano rendere avvincente quella materia anche per il piccolo gruppo di noi studenti, non in grado di seguirne i passaggi matematici, riuscivano a comunicare il fascino e la bellezza della complessità della natura.

Nonostante quanto già esposto, non sono questi i motivi che mi inducono a ricordare, per quanto nelle mie possibilità, la sua statura. Quello che fa la differenza, sono le modalità, credo uniche, che aveva voluto adottare per lo svolgimento dell’esame da parte dei suoi allievi. Egli aveva organizzato, ma si potrebbe dire inventato, chiedendo il supporto dei suoi assistenti, un “esame continuo” fatto di incontri settimanali pomeridiani di un’ora ciascuno, per tutta la durata del corso, presso il suo ufficio, con ciascuno dei circa 60 studenti. Ognuno di quegli incontri, che ho avuto la fortuna di avere con lui, era insieme la classica verifica sugli argomenti svolti a lezione, lo sviluppo di esempi applicativi, la opportunità di trattare nuovi argomenti. Era lui che mi chiedeva di proporre temi che suscitavano la mia curiosità o che facevano parte del mio immaginario di aspirante ingegnere. Così ricordo il suo fervore nel guidarmi ad impostare ed analizzare la dinamica del moto della bicicletta o problemi riguardanti la meccanica del volo spaziale. A volte, uscendo da quegli incontri, quasi per rielaborare i concetti e fissarli nella memoria, attraversavo a piedi il centro storico di Torino per tornare a casa, passando per via Po e proseguendo oltre piazza Vittorio e mi chiedevo come fosse possibile che un uomo così impegnato, così sapiente, volesse passare il suo tempo con uno studente qualsiasi per accompagnarlo nel difficile percorso verso la comprensione della realtà, che è poi anche la comprensione di sé. In un contesto dove lo spazio per gli aspetti interiori, le ansie, le inclinazioni individuali, era certamente piuttosto angusto o inesistente, quel tempo passato a tu per tu con lui, ad assecondare i miei interessi, ad orientare le mie incertezze, mi faceva sentire “importante”, mi ridava un senso di accoglienza, una fiducia nel mio futuro. Un esempio nobile di maieutica applicata all’ingegneria.

Lo scienziato che, con umiltà, si mette al servizio del suo allievo rende possibile la trasmissione del sapere quale fondamento della civiltà. Sono passati più di 40 anni, ma il ricordo non è mai tardivo. Per i grandi uomini “il passato è sempre il presente”. Quanto seminato da lui e da persone speciali come lui ha tenuto vivo il terreno sul quale tentare di “rifondare” il nostro futuro.

Ovunque Lei sia, grazie, Professor Carlo Ferrari.

Claudio Gazzoli


giovedì 5 ottobre 2017

UNA PROPOSTA DI RIFORMA DELLA SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO


L'avevo inoltrata, qualche anno fa', ad un partito candidato per le elezioni politiche... poi sconfitto. E' ancora attuale, visto che nel frattempo, non hanno fatto nulla, anzi...

Nonostante le dichiarazioni ufficiali, a qualunque livello, collocherebbero la scuola Italiana ai primi posti del mondo, vista dall’interno, la realtà è ben diversa. La scuola Italiana non risponde più alle esigenze di un mondo in rapida evoluzione.
La situazione attuale della scuola media superiore si può così riassumere:
Gli alunni hanno sempre ragione e, pertanto, vanno aiutati, accuditi, capiti, giustificati, difesi, soccorsi, perdonati (...e loro lo hanno capito da un pezzo!).
- Gli insegnanti hanno sempre torto e, pertanto, vanno demotivati, ostacolati, desautorati, delegittimati, mortificati.
- Il consiglio di classe è sovrano e, in barba all’art. 34 della Costituzione (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”), trasforma, quasi per miracolo, i 5 e i 4 in 6, per buonismo, indulgenza, ideologia o paura dei ricorsi, facendo diventare capaci quelli che non lo sono e meritevoli quelli che non lo meritano.
- Il dirigente scolastico, impegnato com’è a recepire le continue lagnanze di genitori e studenti, sopraffatto dalla paura, non ha il tempo per occuparsi dei contenuti e della organizzazione dell’insegnamento, in definitiva il fine primario della scuola.
- Le strutture e gli strumenti didattici sono ridicoli e obsoleti se confrontati con quelli che le aziende virtuose mettono a disposizione per la formazione dei loro dipendenti.
- L'attività didattica è rivolta e calibrata, in ragione degli argomenti già esposti, verso gli alunni meno "meritevoli" della classe, trascurando l'abilità e la diligenza di tutti gli altri.
- L’insegnamento delle discipline, all’interno del programma ministeriale, a sua volta demarcato dalla “classe di concorso” e insabbiato dal “libro di testo”, viene percepito dagli alunni in modo circoscritto all’ambito della disciplina stessa senza le opportune relazioni, affinità, che rendono il sapere strumento primario di crescita della personalità e di comprensione delle connessioni sempre più complesse della vita reale.
Le mie proposte per una scuola moderna e competitiva sono riassunte nei 10 punti seguenti:
1. Riportare l’insegnante (non il collegio dei docenti o il consiglio di classe) al centro della scuola. Ascoltare le sue esigenze didattiche, comprendere e favorire le sue proposte, attribuirgli compiti di gestione e organizzazione dell'attività didattica.
2. Selezionare insegnanti preparati e motivati non trascurando l’apporto di docenti con grande esperienza dal mondo del lavoro e della ricerca che, soli, possono costituire il necessario collegamento con l’esterno.
3. Procedere ad un metodo sistematico di valutazione in itinere degli insegnanti dove ci siano anche gli apporti degli alunni e, in seconda istanza, dei genitori.
4. Riorganizzare la vita scolastica non più attorno alla classe, ma attorno alla disciplina. Si può pensare ad una via intermedia tra l’attuale organizzazione e quella dell’università. La classe che si forma al primo anno e dura 5 anni è una entità chiusa nel tempo e nello spazio che non rappresenta più la realtà del mondo del lavoro e della società in cui è importante la duttilità dei rapporti, la estrema varietà delle relazioni tra le persone, anche con altri soggetti, imprese, amministrazioni, università, il tutto in una “aula” ormai globale. E' un mondo chiuso dove si instaurano rapporti stagnanti all'interno di sottogruppi, tensioni irrisolte, strategie di difesa non costruttive. Si può pensare ad una organizzazione dove ci siano lezioni seguite da tutti gli alunni dello stesso anno di corso e gruppi di lavoro costituiti con modalità variabili in funzione di esercitazioni, progetti, chiarimenti, approfondimenti, interessi individuali. Va naturalmente ripensata la stessa architettura scolastica con una nuova organizzazione degli spazi che dovranno essere funzionali alle attività e non il contrario, come avviene oggi.
5. Responsabilizzare gli alunni dando a loro non solo l’impressione, ma l’evidenza che il proprio futuro è nelle mani di ciascuno, che domani si raccoglierà quello che si semina oggi in termini di impegno, interesse, motivazione. Nella società c’è un posto per ognuna delle infinite inclinazioni della persona ma bisogna guadagnarselo. Va da sé che lo Stato, non più da vedere come una controparte, deve riguadagnare tutti gli elementi di credibilità perduti per dare ai ragazzi sicurezza del futuro.
6. Eliminazione del libro di testo. Questo totem sacro e inviolabile, oggetto di sedute interminabili quanto inutili, ha fatto il suo tempo. Si vedono alunni di ogni età trasportare carrelli con 15 kg di libri! Non è la quantità che conta: "...la mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma piuttosto, come legna, di una scintilla che l'accenda e vi infonda l'impulso della ricerca e un amore ardente per la verità" (Plutarco, L'arte di saper ascoltare). Spetta all’insegnante (come sancisce l’art. 33 della Costituzione) e non al ministero il controllo del rigore didattico degli apporti che la rete o altri strumenti oggi mettono a disposizione in ogni disciplina.
7. Eliminazione del voto di consiglio nelle valutazioni finali. I voti attribuiti agli alunni, nel corso dei cinque o più anni di frequenza, devono rimanere, senza artifici, nel curriculum finale degli stessi.
8. La promozione alla classe successiva avviene automaticamente al superamento di un target predeterminato nel cui computo concorrono i profitti conseguiti nelle varie discipline con pesi diversi in ragione della specializzazione (è probabile che un’azienda che voglia assumere un diplomato in elettronica sia più interessata al profitto in materie attinenti con essa che non a quello acquisito in storia o in educazione fisica). Le valutazioni dei singoli insegnanti, che confluiscono poi nella valutazione finale, devono rispondere a criteri di oggettività e imparzialità validi per gli insegnanti della stessa disciplina, per i diversi corsi e annualità. Gli insegnanti devono determinare insieme tali criteri in modo da rendere confrontabili le valutazioni. Occorre un sistematico ricorso a metodi statistici che garantiscano il costante mantenimento dei criteri stabiliti.
9. La carica di dirigente scolastico deve essere elettiva, da ripetersi ogni 5 anni. I candidati, scelti tra gli insegnanti dello stesso istituto, dovranno avere le necessarie competenze, certificate da un Organismo indipendente. Alle votazioni parteciperanno insegnanti, studenti e genitori con modalità tali da equilibrare il peso delle varie componenti.
10. L’esame finale, al quale andrebbe tolta la incongrua e ridicola denominazione di “esame di maturità” consisterà in un colloquio, su argomenti non specifici (quelli sono già valutati a sufficienza nel corso dei 5 anni di studi e faranno parte della scheda finale di valutazione), tenderà a valutare le capacità di sintesi, di argomentare le proprie opinioni, di rapportarsi con la complessità.