sabato 20 aprile 2019

Ritorno a Matera



Ci sono ritornato dopo 40 anni. Allora avevano da poco traslocato le ultime famiglie nei nuovi palazzi, tutti uguali ma moderni e dotati di confort "inverosimili": l’acqua corrente, la luce elettrica, il riscaldamento centralizzato. Il geometra del comune, che ci accompagnava in visita ai Sassi, cugino di un amico che era con noi, originario di quelle parti, poco prima che venissero trasformati in meta turistica, ci diceva che, arrivati alle nuove abitazioni, avevano cominciato, opportunamente, ad utilizzare la vasca da bagno e il bidet per coltivarci le piante officinali e l'insalata.
Matera capitale della Cultura. Ma di quale cultura ? Quella paludata, intellettuale, ideologica, orizzontale, seducente della modernità o quella, ora sparita, antica, primordiale, verticale nel suo rapporto con il soprannaturale, pesante, come venti miglia al giorno a piedi sotto il sole cocente, sulla terra arida, polverosa, dove il patimento non era senza scopo, anzi, era un tutt’uno con la vita, che la modernità ha cancellato e della quale si è pure “vergognata”.
Matera non è più quella descritta da Carlo Levi nel suo bellissimo “Cristo si è fermato a Eboli” che mi aveva così conquistato: "... sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone... Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando e vedevo l'interno delle grotte, che non prendono altra luce e aria se non dalla porta. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali..".  “in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.” “… qui non vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia.” 
Ma ora, si capiscono meglio queste parole. Qui non era davvero arrivato il Cristianesimo, quello intellettuale fatto proprio dalla Chiesa di oggi, positivista, che propugna un legame inscindibile tra la ragione e la storia, che si prostra a sottomettere il trascendente  all'immanente, dove l’anima individuale ha un senso solo in relazione con la società e la speranza non è la salvezza dell’anima bensì l’utopia del "mondo nuovo". Non è arrivato il Cristo che voleva il popolo ebraico e che vogliono pure oggi  ad imporre le nuove virtù teologali della rivoluzione. Occorreva guardare senza gli occhiali della “ideologia”, della erudizione comunque borghese, anche se mascherata dalla vicinanza intellettuale alle classi “deboli”. 
Ora alcuni di quei "buchi neri" sono diventati abitazioni eleganti e raffinate dove la grotta del mulo è riutilizzata come grottino per i vini pregiati, il tugurio delle caprette convertito in bagno superaccessoriato, il pavimento di terra battuta ricoperto da mattoni di cotto toscano, le pareti nude di pietra, annerita dal fumo, ripulite e stuccate, il buio illuminato da sofisticate luci  cangianti a led e poi, ovviamente, fognature, impianti avanzati, sistemi wifi per comunicare con il mondo, ventilazione di recupero del calore e dell’aria fresca.
Il luogo, che per millenni è stato dimora e famiglia di una umanità antica, mutato nel tempo per necessità dovute alle consuetudini, ai pensieri, alle speranze, agli affetti e perciò, inevitabilmente bellissimo perché non artificiale, funzionale perché al servizio di esigenze elementari, primarie, ora è trasformato in residenza di piacere al servizio di tutti i sensi dell’uomo nuovo.
Dove la materia, drammaticamente ma fatalmente, era in intima relazione con lo spirito ora è diventata padrona assoluta.
Come si viveva nelle nostre campagne ancora negli anni ’50 ? La contiguità con gli animali era sensoriale e fisica. Gli animali quali compagni di lavoro, calore, nutrimento, non “animali di compagnia” come quelli, pettinati e amorevolmente accuditi, che gironzolano tra i divani e i tappeti delle case piccolo borghesi dell’uomo del terzo millennio.
A proposito, a quest’uomo nuovo Cristo è arrivato ?
Ora non ci sono più gli abitanti, non c'è più la vita, anche se povera. E' un luogo spettrale ma tenuto vivace e proficuo da frotte di turisti, profumati e acculturati, che guardano sorpresi le case imbalsamate mormorando increduli: “ma sai che ci vivevano con gli animali ?”. 
Quello che mi ha colpito è il numero delle Chiese, rupestri, in pietra, piccole e grandi, sparse nell’abitato, alcune ancora distinguibili dalla croce che sovrasta il timpano. In questo luogo, solo apparentemente disadorno, è arrivato il Cristo della sofferenza immane, quello vero, non quello delle riprese dei film che qui hanno trovato il loro naturale scenario. E’ arrivato a dare dignità, a placare, a lenire e dare speranza alla vita, di cui Lui è l’unico senso, per il quale si possono anche accettare i pesi delle giornate implacabili, del caldo e del freddo, del lavoro e del raccolto non sempre fruttuosi, dove la rassegnazione non è sconfitta ma attesa, dove l’essenziale non è povertà ma accettazione, con la coscienza che il superfluo è effimero se paragonato alla ricompensa. E’ arrivato a redimere il peccato già mitigato dalla tribolazione.
Vi è arrivato, senza soluzione di continuità con le arcaiche credenze profane, il rapporto con Dio, Dio del Medioevo, al centro di ogni pensiero e azione dell’uomo, non l’uomo al centro di ogni pensiero e preoccupazione di Dio. E’ arrivato all’uomo che si sottomette, con umiltà, offrendo la propria sofferenza.
Ecco, se ci dimentichiamo questo, e lo abbiamo dimenticato, non capiamo nulla del valore di quelle vite apparentemente sprecate, non capiamo nulla del valore delle nostre vite apparentemente impegnate. Se dimentichiamo questo, calpestiamo barbaramente le nostre origini, che non possono essere affatto comprese da chi “viene dalla fine del mondo” e perciò si ostina a cancellarle.
Se vogliamo cominciare a risalire le pareti scoscese del baratro nel quale siamo caduti dobbiamo liberarci di tutti gli orpelli di questo umanesimo suicida, per imitare, almeno nello spirito, quelle vite,  solo profanamente inutili e riscoprire il rapporto esclusivo con Dio.





I luoghi dei bambini di una volta avevano molte cose in comune.
Le strade di mattoni, le salite di lunghi gradoni lastricati di ciottoli, le facciate non rifinite, le mura di grosse pietre squadrate dove spuntano le piantine dei capperi, i muraglioni rivestiti di licheni, i portoni dimessi e le finestre traballanti e poi il sole, spietato da maggio a settembre, a rivestire di luce dorata lo spazio delle nostre giornate di bambini, a dare alle cose un’aria irreale ma reale nella nostra percezione arcaica e incontaminata.






mercoledì 17 aprile 2019

L'incendio di Notre-Dame



Alcuni commenti all'incendio di NOTRE-DAME, da me pubblicati su:
https://cronicasdepapafrancisco.com/2019/04/15/il-magnificat-di-paul-claudel-a-notre-dame/

Dall’omelia del vescovo di Roma della Domenica delle Palme: “Una forma sottile di trionfalismo è la mondanità spirituale, che è il maggior pericolo, la tentazione più perfida che minaccia la Chiesa (De Lubac)” e poi:
Ai piedi della croce, Maria ripensò alle parole con cui l’Angelo le aveva annunciato il suo Figlio: «Sarà grande […]; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33). Maria sul Golgota si trova di fronte alla smentita totale di quella promessa: suo Figlio agonizza su una croce come un malfattore. Così il trionfalismo, distrutto dall’umiliazione di Gesù, è stato ugualmente distrutto nel cuore della Madre; entrambi hanno saputo tacere.

Se non ho capito male, facendo riferimento a quello che mi è stato sempre insegnato, le parole dell’Arcangelo Gabriele avrebbero un tono trionfalistico. Questo sarebbe possibile solo se il Figlio che veniva annunciato fosse solo un uomo. Quanti sovrani, condottieri, tiranni abbiamo visto cadere sotto le spietate rappresaglie della storia incuranti dei tracotanti trionfalismi con i quali si erano annunciati. Questo voler costantemente piegare il Mistero alle categorie del mondo e di, velatamente, soffermarsi sulla "esclusiva" natura umana di Gesù, come sta proponendo una parte della Chiesa di oggi, non è “mondanità spirituale e la tentazione più perfida che minaccia la chiesa"? Maria è l’unica che ha capito che quella infinita sofferenza (che non era solo sofferenza umana) non è la “smentita totale di quella promessa”.

Senza minimamente voler accennare ad un legame tra queste parole e l’incendio della cattedrale di Notre-Dame, come si fa a non considerare questo immane evento come una metafora dell’incendio che imperversa nella Chiesa ?



Il presidente francese dice che ricostruiranno Notre Dame “più bella e più attraente di pria…”. Che cosa riedificheranno, le mura, le vetrate, i pilastri, le volte, il contenitore. Ma del contenuto, a loro, atei, anticristiani, acattolici, pronipoti dei giacobini che già l’avevano distrutta portandone via per sempre il contenuto, quello vero, la bellezza, quella vera, di Nostra Signora, che cosa mai interessa ? Loro che da più di 250 anni ne hanno profanato la vera intenzione, verso la Signora che per la Francia ha avuto, in quegli stessi anni, una predilezione mirabile, rimpiazzando le Virtù Teologali con le tre “false” virtù rivoluzionarie. Lei, che ha una preferenza per le grotte maleodoranti, con una predilezione particolare per l’odore di pecora, non sa che farsene della loro “bellezza”.
Quale grande imbarazzo dover dichiarare al mondo la ricostruzione di quello in cui non credono ! Non sarebbe meglio spianare il luogo, ormai sconsacrato, e costruirci un grande, sfolgorante centro commerciale, alla maniera di quello lì vicino, progettato dallo stesso grande architetto, rinomato esperto di centri commerciali mimetizzati e allegorici, come quello realizzato da noi a San Giovanni Rotondo? Pensi, Sig. Presidente, quale grande avvenimento sarebbe l’inaugurazione, più prestigiosa di quella della Tour Eiffel, alla presenza di papa Bergoglio a consacrare il luogo ai simulacri dorati e abbaglianti di liberté, egalité, fraternité, ad aspergerli con pioggia di champagne d’annata e concedere a tutto il mondo lì presente la sua planetaria benedizione circolare ?