L’Annunciazione
di Simone Martini, degli Uffizi, non è una raffigurazione realistica del momento dell’Annunciazione. Non vi sono rappresentati l’ambiente
domestico della modesta casa di Maria, come si può vedere a Loreto, gli umili
arredi, le pareti di mattoni. La parete che fa da sfondo è completamente
laminata di oro sfolgorante, mentre la scena è incastonata in un’architettura
gotica. La forma splendida della pala rivela in modo altissimo la
sostanza eccelsa dell’irrompere decisivo di Dio nella storia dell’uomo. La
forma stilizzata, sinuosa, armoniosa, sta qui a sublimare la sostanza grandiosa
di questo evento nella sua dimensione atemporale. Persino Caravaggio ha avuto
bisogno di rinunciare, in parte, al cupo realismo per la sua “Annunciazione”. Tuttavia questo non era più l’uomo del medioevo, ma l’uomo individuo, in attesa di
diventare solo “formalmente” individuo che ha, sostanzialmente, perduto il
rapporto con il Creatore.
La
forma è lo strumento che ci è stato dato, per azione dello Spirito Santo, in
duemila anni, per cercare di comprendere la sostanza di Dio, guidandoci in una dimensione non profana, molto diversa dall'ordinario. Ha lo
scopo di delimitare la sostanza della fede trattenendola da facili, umane
deviazioni.
Non
solo, la forma si può dire che “da corpo alla sostanza”. Il corpo e sangue di
Gesù nell’eucarestia sono “accolti” nella
forma del pane e del vino. L’olio profumato con il quale Maria di Betania ungeva i piedi di Gesù
è la forma che permette di magnificare la sostanza della rivelazione.
La
forma liturgica ha lo scopo di avvicinarci a Dio, che a Mosè dice «Non
avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è
suolo sacro!». Non si incontra Dio come si incontra un amico, mantenendo i
calzari, magari mettendosi comodi, seduti.
L’incontro
con Dio deve comportare aspetti, movimenti, parole diversi dalla norma, deve
rispondere a precise espressioni che ne determinano la forma sacra. Come il protocollo rigido delle udienze di
persone che rivestono un ruolo importante. Non si va ad incontrare il Presidente
della Repubblica in jeans, magari lacerati, con i capelli e la barba incolti….
non si verrebbe ammessi. Questi aspetti formali che fanno parte di un
protocollo diventano, nell’udienza con Dio, forma sacra.
Il
sacro è la forma terrena del divino. Terrena, non profana, accessibile
all’esperienza umana mediante segni rituali che consentono all’uomo di mettersi
in contatto con Dio. Nell’antica Roma, il segno principe del sacro era il fuoco
accudito dalle Vestali. Ogni profanazione del fuoco sacro comportava la morte. Gesù
stesso vi ha fatto ricorso, usando elementi materiali, ma peculiari dell’esperienza
umana, quali segni mediatori del rapporto con Dio, forme terrene del divino. Il
pane, il vino, l’acqua del battesimo, la terra mescolata alla propria saliva, il
balsamo con cui è stato unto il suo corpo.
La
liturgia è la forma sacra della rappresentazione del rito dovuto a Dio da parte
del popolo. Mentre la preghiera individuale può essere libera, seguire i
percorsi intimi del cuore, la preghiera collettiva ha bisogno di una struttura,
una forma. Non vi può essere alterazione, manipolazione, soggettivismo. La
struttura rigida della liturgia, così come è stata ispirata dalla tradizione,
ha lo scopo di guidare coralmente il popolo verso Dio.
La
stessa distribuzione dell’Eucarestia ha un forte contenuto di preghiera, non
individuale, perché vi interviene il sacerdote, che pronuncia la formula di
rito e poi somministra. Pertanto, deve avere una forma liturgica univoca. La
deriva post-conciliare e odierna, che lascia libertà ai fedeli di riceverla in
piedi, o in ginocchio, sulla lingua o sulla mano, portarla in bocca stando
fermi o camminando, è soppressione della forma, svilimento del contenuto
eminentemente sacro del gesto liturgico, offesa a Gesù.
Il
percorso postconciliare di azzeramento del sacro è dovuto passare per la
liquefazione della forma, dalla messa novus
ordo, alla liturgia, all’architettura delle chiese, al canto gregoriano.
Bergoglio,
che appena eletto rinuncia alla mozzetta rossa, simbolo della somma dignità, ad
imitazione del sangue della Passione, proclama che la sua funzione non è quella
“sacra” di vicario di Cristo ma quella, solo profana, di leader di una chiesa
visibile che ha perduto ogni legame formale e, quindi, sostanziale, con il soprannaturale.
La
stessa talare, ormai abbandonata dalla maggioranza dei sacerdoti, è la forma orante,
che ordina, difende il corpo consacrato a Dio. L’abbandono della talare è il regalo più spassoso fatto al demonio.
Padre Pio raccontò ad un suo confratello di una sera, in cui era
in solitudine e stava pregando: “Sentii
il fruscio di un abito e vidi un giovane frate trafficare all’altare maggiore,
come se spolverasse i candelabri e sistemasse i portafiori.
Convinto che a riordinare
l’altare fosse fra Leone, poiché era l’ora della cena, mi accosto alla
balaustra e gli dico: Fra Leone, vai a cenare, non è tempo di spolverare e
aggiustare l’altare”.
Ma il frate gli rispose e non era la voce di fra Leone, dunque,
Padre Pio gli chiese chi fosse: “Sono un
vostro confratello, che qui fece il noviziato. L’ubbidienza mi dette l’incarico
di tenere pulito e ordinato l’altare maggiore, durante l’anno di prova. Purtroppo,
più volte mancai di rispetto a Gesù Sacramentato, passando davanti all’altare,
senza riverire il Santissimo, conservato nel Tabernacolo. Per questa grave
mancanza, sono ancora in Purgatorio”.
Dopo essersi così spiegato, quel frate disse che il Signore gli
aveva concesso di chiedere clemenza, proprio a Padre Pio, perché sarebbe
rimasto ancora in Purgatorio, solo fino a quando lui avesse pensato fosse
opportuno: “Io, credendo di essere
generoso verso quell’anima sofferente, esclamai: vi starai fino a domattina
alla Messa conventuale”. Quell’anima urlò: “Crudele!”, poi cacciò un grido
e sparì. Quel grido lamento mi produsse una ferita al cuore, che ho sentito e
sentirò tutta la vita. Io, che per delega divina avrei potuto mandare
quell’anima immediatamente in Paradiso, la condannai a rimanere un’altra notte
nelle fiamme del Purgatorio”.
Conviene
abbassare l’asticella fino a terra ?
Molte
volte, nelle cose dell’uomo, la forma serve a mascherare la vera sostanza. Come
la forma reale della democrazia quando serve a mascherare una reale dittatura. Nel
rapporto "grave" con il soprannaturale, forma e sostanza sono così intimamente
congiunte che non è possibile sminuire la prima senza oltraggiare la seconda.
Qualche
settimana fa’, un sacerdote delle mie parti, ad una donna che chiedeva di
ricevere la comunione sulla lingua, ha risposto: “ma signora, lei guarda alla forma, è la sostanza quello che conta…”.
Certo, dal macellaio, non in chiesa.
La
parola "sacerdote" viene dal latino “sacer”, sacro. Nella oggettivazione del
Sacro la forma rende possibile la sostanza. Un sacerdote che non capisce
questo, semplicemente, non può fare il sacer-dote.
Claudio Gazzoli - Monterubbiano
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