domenica 20 dicembre 2020

IL NATALE DI NONNA CARLOTTA

 


Ritornavo dalla passeggiata pomeridiana con mio nonno, approfittando del sole di una giornata fredda di dicembre, a ridosso del Natale, lungo la strada di campagna che, costeggiando la chiesa, arrivava fino alla fontana con la vasca e la sponda in pietra inclinata, il lavatoio pubblico dove le donne di questo piccolo sobborgo, a ridosso delle mura del paese, andavano, con il canestro o la tinozza di zinco, a lavare i panni. Come tutte le strade di campagna era di terra battuta da centinaia di anni di carri trainati dai buoi con il carico di fieno, grano, paglia, farina, legna. Al centro vi cresceva l’erba che creava le due corsie per camminare, quando era asciutto e il percorso adatto per non infangarsi, dopo la pioggia. Mio nonno era alto con i capelli bianchi che gli davano un portamento che, unito al suo camminare impettito, lo faceva sembrare austero ma anche più burbero di quanto non fosse. Parlava poco, come tutte le persone anziane di allora, pesando le parole, con quella intonazione malinconica che faceva trasparire una sofferenza celata, un decoro semplice e onesto. Aveva trascorso molti anni della sua vita in America a Filadelfia lavorando in un grande calzaturificio e inviando alla famiglia i soldi per sopravvivere e per far studiare mio zio che, a ridosso della maturità classica, decideva di entrare in seminario per farsi sacerdote. Mi piaceva camminare su quella strada, perché arrivava in piena campagna in mezzo ai campi di grano appena spuntato, con i lunghi filari della vite sostenuta dagli aceri e il silenzio assoluto interrotto solo dallo stridio del falco, che mio nonno prontamente mi indicava. In questa stagione in cui fa già notte nel  pomeriggio, ci andavo da solo, anche se con un certo timore, per vedere la via Lattea e immergermi in quel fiume di stelle affondato in un buio profondo che, nel giro di qualche anno, non avrei più rivisto. Rientrammo da una porta laterale, nella canonica, contigua all’abside del santuario dedicato alla Madonna. All’inizio della scala che portava al piccolo alloggio percepii un lamento che, salendo, diventava più simile ad un pianto. Non avevo mai visto mia nonna piangere. Era nata alla fine dell’ottocento, aveva visto due guerre devastanti, un’epidemia violenta, una vita faticosa attraversata con la dignità solenne delle donne di una volta. Aveva atteso per otto anni il ritorno dell’altro figlio dalla guerra e non avrebbe mai superato il rammarico di non averlo riconosciuto, quando era rimpatriato, uno degli ultimi prigionieri rilasciati. Quelle donne raramente piangevano. Se ne stava accasciata su una sedia e mentre cercavo di capire che cosa fosse accaduto, mi accorsi che sul pavimento di mattoni c’erano due pezzi scuri, con attorno carboni e cenere sparsi, che subito riconobbi come le due parti spaccate del ferro da stiro in ghisa. Adesso, dopo tanti anni, in un mondo completamente cambiato, non si capirebbe perché piangere per un vecchio elettrodomestico, così si chiama ora, rotto. Anzi, sarebbe l’occasione per rifarlo nuovo, supertecnologico, a vapore surriscaldato, magari ordinandolo su internet, farlo arrivare direttamente a casa, dopo aver viaggiato per diecimila miglia da un paese lontano da cui arrivano tutte, ma proprio tutte le cose che ci “contagiano” di felicità... Allora, invece, in pieno medioevo, soprattutto nei nostri paesi e nelle nostre campagne, prima dello tsunami della modernità, un ferro da stiro in ghisa, con il manico di legno e il coperchio per riempirlo di brace, uscito dalla bottega di un artigiano del luogo, con la base fornita da una fonderia poco distante, costituiva un piccolo patrimonio, come la pentola in rame stagnata, la graticola, lo scaldaletto, la lampada ad acetilene, il mortaio, il macinino, il setaccio. Nasceva un rapporto intimo con essi, quasi a prolungamento delle mani e della mente, collaboratori dell’essenziale di una vita fatta solo di bisogni primari e perciò elevati. Lo aveva usato a lungo il giorno prima, per stirare le camice di mio zio, tutte senza colletto, da indossare sotto la tonaca e il collarino, mentre teneva il camino acceso, approfittando del fuoco per cuocere le erbe per la cena e poi conservando l’acqua da tenere in caldo per riempire le bottiglie di ottone, con le quali scaldarsi i piedi nel letto. Quello stesso pomeriggio avevo aiutato mio zio, in chiesa, a sistemare il presepio, dopo aver raccolto il muschio più fresco e avermi fatto scegliere il bambinello per la notte di Natale. Erano statue giganti, rispetto alle mie, alcune in carta pesta, dai lineamenti delicati, lo sguardo mite e adorante. Era un Natale speciale perché le pareti interne, il soffitto e i mosaici dorati, erano stati fatti ripulire da mio zio e il santuario appariva risplendente, in piena armonia con la bellissima statua bianca della Madonna adornata di una corona d’oro. Ero felice anche perché mia nonna avrebbe preparato le frittelle con lo strutto di cui andavo matto. Ma adesso non sapevo che cosa dire a lei, affranta, che si era ancora di più abbattuta quando mio nonno le disse che lo avrebbe ricomprato al mercato di un paese lì vicino. Non si dava pace per il fatto che le fosse sfuggito senza riuscire a riprenderlo. Ma non aveva il tempo per continuare ad affliggersi perché quel pomeriggio doveva preparare le ostie, con lo stampo arroventato e la pastella di acqua e farina. Mi piaceva aiutarla a staccarle mentre mi gustavo gli scarti. Non era stata una serata come le altre perché mia nonna non aveva superato lo sconforto e, dopo la cena frugale e le preghiere recitate da mio zio, davanti al caminetto, mi aveva preparato per andare a dormire. Il mio letto, accostato alla parete, nella camera dei nonni, aveva un materasso di "sfogli" di granturco, nel quale mi piaceva sprofondare, soprattutto in quelle serate gelide, dopo le prime nevicate invernali.

La mattina dopo era ancora una giornata serena e fredda e, attraversando la chiesa per uscire sulla piazzetta inondata dal sole, avevo notato mia nonna seduta davanti al presepio, in silenziosa venerazione. Non la vedevo quasi mai in chiesa, se non per assistere alla messa e, qualche volta, alla recita del rosario. Pensai che fosse per consolarsi del ferro da stiro. Il pomeriggio le tenevo ancora compagnia, mentre preparava altre ostie che servivano per i numerosi giorni di festa che si avvicinavano, quando sentimmo rintoccare la campanella del portone della canonica. Rimasi in cucina, mentre mia nonna scendeva le scale per andare ad aprire. Si aspettava una delle solite persone che volevano parlare con mio zio, invece si trovò davanti un signore che non aveva mai visto, non molto anziano, con una barba curata, dall’aspetto gradevole e pacato, gli occhi scuri, come pure i capelli ondulati fin quasi sulle spalle. Era vestito in modo insolito, con un mantello di lana grezza, marrone scuro, ma ciò che la colpiva di più, era il fatto che non indossava i pantaloni ma una tunica lunga fino ai sandali, di foggia mai vista. Sorrideva mentre le porgeva una scatola di legno, lucido come il comò della sagrestia. Non aveva avuto il tempo di ringraziarlo e di chiedergli chi fosse perché si era subito dileguato. Ammiravo la scatola poggiata sul tavolo della cucina, mentre mia nonna la guardava sorpresa, non immaginando che cosa potesse contenere. Si capiva che era fatta da una mano esperta, le pareti non erano perfettamente lisce ma dava un’idea di solidità anche per gli incastri magistrali tra le parti in legno, come sapevano fare i falegnami di una volta. Aveva un coperchio con cerniere di ferro battuto, chiuso con un incastro. Finalmente decise di aprirlo, con un leggero sforzo. C’era della paglia che, una volta smossa, mostrava un manico di legno che mia nonna afferrò con impazienza. Si sedette e cominciò a piangere, stavolta per la sorpresa e la gioia, quando scoprì che si trattava di un ferro da stiro, identico a quello rotto, ma nuovissimo.

La lasciai sola, avevo voglia di correre lungo quella strada, fino al lavatoio e, attraversando a passo svelto la navata del santuario, passai accanto al presepio e mi parve che San Giuseppe mi avesse sorriso.

Claudio Gazzoli





domenica 13 dicembre 2020

OLTRE L'INDECENZA

 


Questa accozzaglia di figuri che, con una violenza al nostro intelletto di uomini normali, vorrebbero chiamare “presepe”, ma che invece sembra riprodurre icone di statue precolombiane, in piena sintonia con l’inebriamento amazzonico della chiesa, rappresenta il punto di arrivo di un percorso studiato a tavolino, dove proprio niente è casuale, in quest’anno in cui invece tutto sembra esserlo, ma non lo è affatto. Lo smantellamento della nostra natura primordiale, l’abrogazione definitiva del legame tra il presente e la storia, la demitizzazione del sogno, la delegittimazione della persuasione, la frantumazione del buon senso, la cancellazione furiosa della tradizione, la mortificazione diabolica della pietà popolare. Vogliono sostituire, non solo in campo religioso, i nostri archetipi di pensiero e di immaginazione con i modelli astratti dell’utopia nefasta della "nuova creazione". Non mi interessa chi lo ha realizzato e neanche chi lo ha ideato. Penso invece a chi lo ha commissionato e a chi ha approvato la sua installazione nella piazza simbolo e centro della cristianità, che piuttosto dovrebbe avere una decenza commisurata al suo ruolo. Ormai quello che a noi comuni mortali appare ovvio non lo è per queste menti singolari che hanno ricevuto dal loro interlocutore privilegiato una apparente superiorità. E questo vale per l’opportunità, per il valore simbolico, per la sacralità, per il messaggio, per l’importanza, in quel luogo e nei ricoveri delle nostre anime smarrite, dell’altissima rievocazione. Gesù non è moderno, è ETERNO. Aldo Maria Valli ha colto nel segno sottolineando: “…se poi avete con voi un bambino, impeditegli di guardare. Potrebbe restarne segnato”. Non credo ci fosse ironia in questa espressione ma, piuttosto, consapevolezza della smisurata offesa fatta soprattutto ai bambini, alla loro innocente immaginazione, per la quale Maria, Giuseppe e Gesù bambino dovrebbero, ovviamente, avere i contorni familiari della dolcezza, della bellezza genuina e umile, della purezza compiuta. Devono avere l’affinità naturale con le nostre sembianze, esaltata dalla santità. Solo che a loro dei bambini non interessa l’innocenza… San Francesco, a cui dicono di rifarsi, piange mortificato a guardare questa mostruosità. Come ho già espresso altrove, per lo scandalo che stanno sistematicamente dispensando, farebbero bene a legarsi una macina di mulino al collo e gettarsi in mare, nel tentativo di mitigare il supplizio, in virtù di un pur tardivo pentimento.

Non il simbolo rassicurante del Santo Natale ma totem dell’antinatale dell’antichiesa dell’anticristo.

Claudio Gazzoli

 

P.S.

Dedicato agli intellettuali, fini dicitori, sempre equidistanti, che ci chiedono, petulantemente, le prove.



il vero presepe... che fa venire le crisi epilettiche al diavolo e ai suoi emuli.......









venerdì 11 dicembre 2020

LA VERA MESSA

 


Facciamo sessanta chilometri per assistere alla messa in rito antico, in una diocesi vicina, perché nella nostra non viene celebrata. Entrando in questo bellissimo Santuario Mariano, in muratura e pietra, grandi colonne, archi e volte, la luce diffusa dei lampadari di Murano al posto di quella invadente, accecante dei riflettori, tre navate spaziose e lunghe file di banchi con inginocchiatoio, si viene accolti nella casa di Dio, come nel Tempio di Gerusalemme, come nelle basiliche cristiane sorte sulle fondamenta dei templi profani, come nelle chiese delle nostre parrocchie che accoglievano i fedeli fino alla rivoluzione post-conciliare e postsessantottina, fino alla disgustosa architettura liquida della modernità.

Ma non è il nostro corpo, quale espressione fisica, che interessa a Gesù, non la nostra “sensibilità”, le nostre inclinazioni, i nostri sensi, le nostre attrazioni, il nostro profano sentimentalismo. A Gesù interessa la nostra anima con la quale unicamente possiamo avvicinarci a questo mistero infinito del santo sacrificio, con l’unico mezzo della sottomissione totale al suo giogo, come ci invita Gesù stesso:

«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Matteo 11, 28-30.

Sento spesso dire, da parte di fedeli e religiosi, che arrivano persino a detestare la messa in rito antico: “ma non si capisce niente, il latino poi !, il sacerdote dà le spalle ai fedeli, non c’è partecipazione, c’è troppo silenzio….”. Dinieghi che nascondono capricci, che invertono il vero orientamento dell’atto liturgico rivolgendolo verso l’uomo. Intenzioni terrene che non hanno nulla, ma proprio nulla a che fare con quelle che dovrebbero essere le disposizioni dell’anima. Sottomettersi al Suo giogo vuol dire accantonare il nostro io per partecipare, sulla salita del Calvario, alla sua passione. La messa in rito antico, per la sua monodirezionalità, il suo rigore formale, la sua completa finalizzazione alla “rinnovazione incruenta” del Sacrificio ci mette in tale disposizione. Ogni paramento, movimento, gesto, silenzio, parola sono rivolti al mistero di tale riproposizione. Ogni passo, comprese le letture dell’epistola e del Vangelo, è preghiera altissima di riverenza e sottomissione. Fin dal suo incipit dichiarato dal celebrante: «Introíbo ad altáre Dei» (“salirò all’altare di Dio”) siamo chiamati ad assistere e poi straordinariamente trasportati sulla via del Calvario, alla dolorosa, straziante, tragedia di Gesù che si umilia fino all’estremo sacrificio e, mortificando sé stesso, induce la nostra mortificazione, senza la quale nessuna salvezza è possibile. Possiamo fare compagnia alla Vergine Maria, a Giovanni e a quelli che vi hanno assistito. Possiamo affidarci a questo prodigioso annullamento del tempo e dello spazio per partecipare a quell’evento, sulla strada molto lieve per noi, ma immensamente grave per Lui, fino a quella leggera altura. Possiamo giovare dell’effetto continuo sul nostro pensare, che si prolunga oltre l'EST finale, sulla nostra vita, sul nostro umore, di quel poderoso ridimensionamento delle nostre velleità. Ma solo se siamo disposti a piegarci sotto il suo giogo.

Poi, dopo la messa, l’altare viene “smontato”, suppongo “obtorto collo”, dai religiosi devoti e decorosi di questo santuario, per trasformarlo in mensa eucaristica per la messa successiva. Dove prima c’era Gesù ora c’è il sacerdote che, invece di rivolgersi a Lui, si rivolge verso il popolo, mentre Gesù è relegato di lato, quando va bene. Nella metafora paradossale di questo cambio di scena  vi è tutta la dignità solenne che separa la tragedia dalla parodia.

Negli ultimi 50 anni, ci siamo illusi di soggiogare Dio alla nostra vanagloria, abbiamo voluto essere noi i veri, pervicaci protagonisti del palcoscenico al quale abbiamo costretto la infinita bontà di Gesù.

Dio ci offre questa sublime opportunità e noi la dissipiamo in un convivio in cui vi si concelebra la nostra penosa autorappresentazione. Abbiamo preferito l’aspetto conviviale al sacrificio, perché più in linea con la nostra odierna sensibilità che esclude la sofferenza, a favore del godimento artificiale del simulacro che ha spodestato il nostro corpo nella sua intima relazione con l’anima.

Tutto è diventato funzionale alla convivialità, il carosello delle letture, le imbarazzanti intercessioni per i “nostri governanti”, le omelie di frequente matrice politico-sociologico-ambientalista, le melodie smelenze, spesso dissonanti, l’isteria funzionale delle traduzioni, lo scompiglio patetico dello “scambio della pace”, quella finta, perché quella vera viene solo da Gesù, fortunatamente interrotto dal coronavirus, la signora in tailleur e tacchi a spillo che distribuisce l’eucarestia come caramelle, i partecipanti rigorosamente in piedi durante il rito, peraltro brevissimo, della consacrazione. Per una capovolta, ma strumentale, applicazione dell’ecumenismo, il padre non attende più il ritorno del figlio prodigo, nella speranza del pentimento, ma va in cerca di lui, neanche lontanamente ravveduto e, nondimeno, adulato, condividendone le sozzure della porcilaia.

La bellezza eccelsa dell’arte sacra sostituita dalla bruttezza infima, non già come opinione, ma come archetipo nefasto della mente. Come la bellezza era un omaggio a Dio così la bruttezza è un omaggio al suo sgradevole antagonista, di cui le immagini inquietanti presenti nella nuova versione del messale costituiscono solo la naturale prevedibile evoluzione.

Abbiamo repentinamente smantellato il patrimonio che Lo Spirito Santo ha suggerito in modo graduale, negli ultimi duemila anni. Solo gli uomini, con le loro tenebrose associazioni, fanno le rivoluzioni, quella del 1789, del 1861, del 1917 e, in ultimo, quella conciliare.

Anche se può sembrare un’utopia, sono convinto che per mettere termine alla rovina devastante della chiesa di oggi e a tutte le sue conseguenze catastrofiche in senso morale e materiale, alla deriva diabolica della nostra appartenenza, agli abusi arroganti della Sua misericordia, ai peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, sistematicamente praticati e favoriti in questi ultimi anni, la Chiesa, nella persona del papa e di tutti i cardinali, deve avere il coraggio di tornare alla liturgia e al rigore preconciliare, deve chiedere perdono a Dio di tutte, ma proprio tutte, le innumerevoli profanazioni, deve pentirsi pubblicamente delle abominevoli idolatrie compiute persino presso la tomba dell’Apostolo,  deve tornare ad ingraziarsi il favore di Dio, applicando la RETTA DOTTRINA,  cominciando con il ridare dignità al VERO SACRIFICIO della messa.

Claudio Gazzoli – Monterubbiano (FM)








domenica 15 novembre 2020

OLTRE LA DECADENZA

 



Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d'afflitte fortune ognor compagna

Una chiesa provvisoria, in una piccola contrada di campagna, una specie di capannone a forma di croce greca al posto della chiesa in restauro. Sono qui perché un prete “normale”, forse l’unico della mia diocesi, celebrerà la messa. Una decina di persone in attesa sulle poltroncine imbottite da aula di formazione, che conversano amabilmente di raccolto, della pioggia che non viene mai, de “lu porcu da scannà”.

Di solito mi vado a cercare un posto dove arrivi poco la luce accecante dei riflettori, in questo caso sostituiti da illuminatori industriali, del tipo di quelli che si usano nei supermercati. Lo avevo trovato in fondo ad uno dei tre ambiti, dove comunque c’era una luce con cui, se non mi turbassero la prima e l’ultima pagina del foglietto, avrei potuto tranquillamente leggerlo. Il sacerdote, vedendo occupare anche quella zona della chiesa, forse per un atto di cortesia, come quando si riceve un ospite a casa, ordina alla assistente di turno di accendere la luce. In un baleno uno sfolgorio, come fari abbaglianti, ci colpisce e ci espone sul palcoscenico dell’assemblea nella quale vorremmo, invece, sentirci nulla davanti a Dio. Avevo l’interruttore vicino ed è stato un gesto quasi automatico spegnerlo e cercare, finalmente, un po’ di raccoglimento. Solo che, iniziata la lettura del Vangelo, il prete, bruscamente si interrompe e, richiamato da qualcosa evidentemente più importante, punta il dito verso di noi e fa: “ma state al buio, accendete quella luce….”. Avrei voluto dirgli, ma non l’ho fatto, per rispetto dell’atto liturgico, che non era necessario perché non eravamo lì per un ricevimento ma per una Luce che nessun faro artificiale può rimpiazzare, che neanche il sole può sovrastare.

Questo episodio, solo apparentemente banale, perché rappresentativo di un disegno già realizzato,  mi ha fatto venire in mente la più struggente, ma anche profetica, poesia del mio conterraneo, Leopardi. Un po’ sprovveduto, pensando di trovare “la luna” nel girovagare alla mercé di amici scriteriati e opportunisti, dopo aver rinunciato alla sua terra bellissima ma arcaica, luminosa ma “oscurantista”, si ritrova su un casolare alle pendici del Vesuvio, malato ma ispirato. Qui, componendo il suo testamento poetico, “La Ginestra”, la fa precedere da una perifrasi che non ci si aspetta: «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce» (Giovanni, III, 19). Si potrebbe pensare, ad una prima affrettata valutazione, che il poeta si fosse convertito, sentendo approssimarsi la fine. Solo che, invece, molto astutamente e in senso anticristiano, ribaltava il significato della “LUCE” con quello che noi intendiamo per “TENEBRE”: “gli uomini vogliono LE TENEBRE della superstizione religiosa piuttosto che la LUCE della presa di coscienza della verità”. È profonda ed incolmabile la sua delusione nei confronti degli intellettuali del suo tempo, che avevano “snaturato” i principi dell’illuminismo per orientarli verso “le magnifiche sorti e progressive” invece di avvalersi della consapevolezza del proprio stato per realizzare la “social catena” (fratellanza ?) tra tutti gli uomini.

“La Ginestra”, per il suo appello senza speranza, per il suo richiamo malinconico ad un passato perduto, per la sua consapevole incongruenza, può essere considerata un inno sconsolato alla DECADENZA. La perifrasi, tratta dal Vangelo di Giovanni, scaltramente capovolta, è coerente con la rappresentazione di una decadenza alla quale, pur inconciliabile con il nostro credo, si può concedere l’onore delle armi, anzi una decadenza nobile e ineluttabile insieme, perché rivela la fedeltà ai valori della tradizione, come nel colloquio, amaro e disilluso, del Principe di Salina con il messo piemontese nel Gattopardo.

Ora, invece, si respira un’aria di disfacimento, come uno stagno di alghe e rane in decomposizione, un tanfo insopportabile con il quale hanno ricalibrato le cellule olfattive della gran parte della popolazione. La decadenza ha i toni tenui, come i colori dell’autunno, che avverte della fine della buona stagione, come quelli del crepuscolo che anticipa la notte. Nella decadenza c’è una speranza, la speranza del giorno nuovo, la speranza di una nuova età dell’oro. Nel disfacimento c’è il NIENTE.

Mi è capitato di leggere, per un caso fortuito e bizzarro, perché non me lo vado a cercare, un brano della lettera di auguri ai “Fratelli Indù” da parte del segretario della CEI: «la “vostra festa” simboleggia la vittoria della luce sulle tenebre, della verità sulla menzogna, della vita sulla morte..». Bene, ma la CEI, portavoce dei vescovi italiani e, quindi, della chiesa, non dovrebbe ribadire, costantemente, con forza, quello che Gesù ha detto «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» ? Pertanto, la VITTORIA DELLA LUCE SULLE TENEBRE non spetta solo a Gesù ?.

Siamo tenuti ad applicare la logica ferrea del «SI - SI, NO - NO»,  la logica inconfutabile della proprietà transitiva: se A la pensa come B e B la pensa come C allora A la pensa come C.

Se “Avvenire” che è il portavoce della CEI e quindi della chiesa sostiene fortemente lo sdoganamento del peccato di sodomia e della omosessualità allora vuol dire che i vescovi italiani e la chiesa pensano che la sodomia vada sdoganata e la omosessualità accettata.

Se i vescovi statunitensi appoggiano manifestamente e fervidamente il candidato ultra-abortista e delegittimatore della famiglia allora vuol dire che la chiesa, ovviamente quella visibile, è a favore dell’aborto, delle famiglie omo e della pratica scellerata dell’utero in affitto. Se la maggioranza dei religiosi italiani dà il proprio “consenso elettorale” ad un partito che propone la pillola abortiva, le unioni civili delle coppie anormali, la diffusione della pazzesca “teoria gender” nelle scuole, allora vuol dire che la chiesa è favorevole alla pillola abortiva, alle famiglie anormali, alla “teoria gender”.

Se si dichiara che è “PAROLA DI DIO” allora deve essere letta e pronunciata così come è scritta. Questo vale, ad esempio, per il termine greco originale “eisénkēs”, tradotto sapientemente e correttamente da San Girolamo con “inducas” e poi, in volgare, con “indurre”. La nuova traduzione, che ci stanno imponendo, per motivi di metamorfosi ideologica, di perversa esegesi storicistica, di buonismo strumentale al nuovo corso è pura mistificazione diabolica.

Ora la chiesa visibile ha di nuovo ribaltato la sublime affermazione di Giovanni, perché sono ATEI, credono solo alla luce della loro ragione e dei loro istinti o alle “ragioni” che il pensiero corrente vuole imporre al mondo intero. Credono solo al loro infido suggeritore. Il risultato non è la DECADENZA ma il DISFACIMENTO.

La nuova chiesa si inchina ai poteri forti del mondo, come, nella poesia, le ginestre sulle pendici del Vesuvio, si piegano al vento infuocato eruttato dalla bocca del vulcano, direttamente comunicante con i recessi sconfinati dell’averno.


avevo già pubblicato:

https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2020/01/la-vera-luce-le-vere-tenebre.html

https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2018/11/cambiato-anche-il-padre-nostro.html




PS del 23.11.2020

Leggo dal sito “Chiesaepostconcilio” la seguente dichiarazione rilasciata dalla monaca benedettina Suor Teresa Forcades, ormai famosa, al giornale “Repubblica”:
Credo che il matrimonio omosessuale debba essere riconosciuto come un sacramento perché ciò che costituisce il sacramento del matrimonio è ciò che questo particolare legame umano ha in comune con la vita della Trinità e la vita della Trinità non ha nulla a che fare con la complementarietà di genere o sessuale e niente a che fare con avere figli”.
Può sembrare uno scherzo di cattivo gusto, ma non lo è. Non entro nel merito di questa dichiarazione squilibrata, pure un bambino al primo anno di Catechismo, quello vero, capirebbe che si tratta di una bestemmia, anzi di un peccato contro lo Spirito Santo (n. 3 – impugnare la verità conosciuta), nonché di uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio (n. 2 – peccato impuro contro-natura), rilevo soltanto che dopo anni in giro per il mondo a propugnare la satanica teologia “queer” (termine già da solo ripugnante) nessuno, dico NESSUNO, della gerarchia della chiesa si è preso la briga di confutare queste  inverosimili PORCATE, anzi, il vescovo José Tolentino Mendonça ne ha elogiato i meriti, meritandosi, per questo, l’onore di condurre gli esercizi spirituali di Bergoglio e dei suoi scherani, la promozione ad un incarico prestigioso in Vaticano e, infine, la elezione a cardinale.
Per far capire meglio il livello di diffusione di questa nuova “frontiera”, qualche tempo fa’ chiesi ad una madre badessa di commentare un articolo di questa “consorella”, ma lei si rifiutò di prendere posizione… Da allora non ho più frequentato quel monastero.
Conosco sacerdoti che sono stati emarginati o perfino sospesi a divinis solo per aver difeso, strenuamente, la Dottrina della Chiesa. Se nessun cardinale o vescovo si ribella davanti a questo continuato sacrilegio allora vuol dire che sono tutti complici del progetto di distruzione della Chiesa Cattolica. Allora vuol dire che con questa chiesa parallela, depravata e corrotta, sottomessa al principe delle tenebre, non possiamo sentirci in unione. Allora vuol dire che questa “chiesa alla rovescia” è proprio la chiesa preparatoria dell’anticristo!!

http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2020/11/suor-teresa-forcades-e-la-nuova.html





lunedì 2 novembre 2020

IL BENE DELLA CHIESA

 


«Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» Mt 8,33

Scorrendo le “res gestae” pubblicate dal vescovo di Ascoli Piceno, mons. Giovanni D’Ercole, si osserva che sono  circa trenta le chiese riaperte al culto dopo il terremoto del 2016 e, pertanto, si capiscono meglio alcune cause della “richiesta di dimissioni” pervenuta dal sultano di Santa Marta, prontamente accolta, sottoscritta, inoltrata e, poi ovviamente, accettata il 29 ottobre scorso.

Eppure non si può dire che mons. D’Ercole non fosse della linea di Bergoglio, con l’accoglienza interessata dei pagani, l'inclusione dei depravati e i cenoni di fine anno nelle chiese.  Ma non lo è stato fino in fondo. Durante il primo lockdown aveva dichiarato:

«… bisogna dire che il diritto al Culto ce lo diate, se non ce lo date ce lo prendiamo, e se ce lo prendiamo è solo un nostro diritto…È una dittatura quella che impedisce il culto…abbiamo bisogno tutti di spazi di libertà..».

Parole forti, le parole che i fedeli dovrebbero aspettarsi da tutti i vescovi, non solo da uno su 200, che devono essere andate di traverso al sultano, anche per i rapporti di buon vicinato e di pacata, codarda sottomissione con il sultanato confinante. Ma poi ai buoni propositi non ha fatto seguito l’azione. Così il pastore, ancora una volta, ha abbandonato le sue pecore, per arrendevolezza e imbarazzante senso del dovere. Non come vuole l’apostolo Giacomo: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?”.

Nella lettera che spiega le proprie dimissioni il vescovo richiama le parole che Benedetto XVI pronunciò il giorno prima di abbandonare il proprio pontificato: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi». Ma, anche alla luce dello sfacelo avvenuto in questi sette anni, ultimo atto di una demolizione preparata da molto tempo, è lecito chiedersi che cosa vuol dire BENE DELLA CHIESA.

Il bene della Chiesa è la totale rinuncia alla missione che Gesù le ha affidato ?: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» Mt 28:19-20.

Il bene della Chiesa è il dissolvimento del proprio unico Mandato nella palude menzognera delle altre religioni ?

Il bene della Chiesa è il totale asservimento della propria Santa Dottrina alle imposizioni dell’ideologia dominante ?

Il bene della Chiesa è la totale rinuncia alla propria tradizione, agli scritti dei Dottori, agli esempi dei Santi per adottare i metodi, le concezioni, le utopie della politica ?

Il bene della Chiesa è lo sciagurato oltraggio al primo comandamento, che tanti guai provocherà al popolo di Dio, consumato turpemente nella idolatria più triviale, dentro alle mura Vaticane e persino sulla tomba dell’apostolo fondatore ?

Il bene della Chiesa è la sistematica alterazione della Parola di Dio, tramandata da secoli di vigilanza dello Spirito Santo, per farne manifesti rivoluzionari gridati impunemente dai pulpiti ?

Il bene della Chiesa è l’accettazione, strumentale e blasfema, del peccato impuro contro natura ?

Il bene della Chiesa è spalleggiare movimenti rivoluzionari armati ?

Il bene della Chiesa è delegittimare la famiglia naturale a favore di sodalizi che scandalizzano persino il diavolo ?

Il bene della Chiesa è la sistematica profanazione, ora anche igienista e cautelativa, del dono più prezioso, la Santa Eucarestia ?

Il bene della Chiesa è la progressiva, persistente deriva verso il protestantesimo o una qualche sua riproposizione massonico-mondialista ?

Il BENE DELLA CHIESA è la totale, suprema adesione al progetto di Gesù Cristo.

Chi ha veramente a cuore il BENE DELLA CHIESA combatte fino al martirio come Sant’Emidio, patrono della città, il primo vescovo su quella stessa cattedra di Ascoli Piceno, che, sotto Diocleziano, ignorò completamente l’ordine del prefetto di non predicare la buona novella, prodigandosi nella conversione di un gran numero di pagani e, per questo, subendo il martirio per decapitazione.


Claudio Gazzoli - Monterubbiano - diocesi di Fermo, contigua alla diocesi di Ascoli Piceno.



P.S.
gli avevo già dedicato un commento:
https://blogclaudiogazzoli.blogspot.com/2019/01/sacro-e-profano-2-cenone-in-chiesa.html




sabato 24 ottobre 2020

UNA MACINA GIRATA DA ASINO

 

«Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» Mt 18,6

La seguente dichiarazione di Bergoglio che sta facendo il giro del mondo: “Quella che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili”, non è che la logica conseguenza di un percorso di sdoganamento della omosessualità originato dal proposito di realizzare il programma “mondialista”, unito alla frenesia diabolica di autogiustificazione di una parte consistente della gerarchia, a cominciare dai livelli più bassi. Credo sia la prima volta nella storia della Chiesa che viene contraddetto, da parte della sua carica più alta, uno dei suoi principi fondanti.

La situazione è oltremodo paradossale. Abbiamo il direttore generale di una grossa squadra di calcio che fa il tifo, esplicitamente, impudentemente, svergognatamente per altre squadre avversarie, di cui incontra le tifoserie, istigandole contro la società di cui lui dovrebbe difendere, fino al sacrificio ultimo di sé, l’onore. Si rifiuta di portare i colori sociali, di rievocarne la storia, che sta sistematicamente demolendo, le vittorie, si scaglia contro l'opportunità di estendere la tifoseria, si dedica a pratiche che nulla hanno a che vedere con la storia della società, con i suoi riti, la sua etichetta. E nessuno dei dirigenti, quadri, allenatori, giocatori ha da obiettare nulla, tranne qualche caso sporadico, opportunamente emarginato. Anzi, compatti, inneggiano al grande direttore, sempre sconvenientemente sorridente, ammaliati dalle sue ossessioni, le sue alienazioni, le sue panzane, le sue utopie. Pure la gran parte della tifoseria ha iniziato  a seguire queste nuove mode, scambiandosi le magliette, abbracciando i tifosi avversari, quando la squadra del “cuore” soccombe, persino intonando i loro canti. Tutti "fuori di testa" !

La responsabilità religiosa dei vertici della Chiesa è immensa, ma non bisogna trascurare la SCONFINATA RESPONSABILITÀ MORALE nei confronti della nostra civiltà, per la confusione generata, per le conseguenze dirette e indirette, verso le famiglie, i bambini, gli adolescenti, i giovani, che dovrebbero trovare negli insegnamenti della Chiesa la risposta granitica alle loro insicurezze, avere un porto sicuro dove approdare, per scampare dalla tempesta impetuosa che la modernità, quotidianamente, gli scatena.

Si leghino tutti una corda al collo, con all’altro capo una grande macina di mulino e si buttino in mare, magari direttamente dentro a uno dei vulcani sommersi lungo la rotta tracciata dalle navi dei loro amici trafficanti di uomini, facendosi dare un passaggio in uno dei tanti viaggi a vuoto verso sud.

 

Claudio Gazzoli - Monterubbiano



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sabato 17 ottobre 2020

UNO SCISMA NON DICHIARATO

 



Il sacerdote che arriva con indosso la mascherina in una chiesa con circa 10 presenti, più i religiosi nel coro, che la indossano proprio quando arriva il sacerdote, a circa un decina di metri di distanza dall’altare. Un grande crocefisso ligneo, addolorato e bellissimo, che sovrasta l’altare con il capo ripiegato nello spasimo, fino quasi a sfiorare il capo del sacerdote, al culmine più tragico e doloroso della passione,  l’officiante che dovrebbe, ma il condizionale è d’obbligo, celebrare la riproposizione incruenta del sacrificio della croce, con indosso la mascherina per tutta la durata della messa, compreso il tempo centrale della consacrazione, partecipando, in tal modo, con la paura di un virus influenzale, al dolore immenso, sconfinato, al supplizio immane per le centinaia di percosse inflitte a Gesù. Quale rischio può essere anche lontanamente paragonabile a quella immensa sofferenza dello spirito e del corpo ? Quale accostamento può reggere tra la probabilità, molto bassa in quelle condizioni, di prendersi un’influenza che, in alcuni casi, può essere letale, e la certezza della passione. Quale biasimo, punizione, può essere paragonabile a tale umiliazione ? Il richiamo del vescovo ? La delazione di qualche pio protestante ?  Quale devota vicinanza vi può essere se non c’è la benché minima partecipazione ?

Si tratta, a tutti gli effetti, per le maschere, l’allestimento, l’apparato, di una blasfema mascherata. La banalizzazione della Liturgia, la delegittimazione della scala gerarchica nel rapporto con il Signore, la riduzione della messa ad una seduta di formazione aziendale.

È l’ultimo atto della separazione, dal corpo della Chiesa, dalla sua Dottrina, dalla Tradizione, di un gruppo di potere, che ha trascinato con sé, avendolo preparato da tempo, la grande maggioranza del popolo cattolico. Uno scisma non dichiarato, ma altrettanto efficace, cominciato proprio con la sostituzione della vera Messa con la messa post-protestante. Nella vera Messa questa mascherata non sarebbe possibile, per la sua incorruttibilità, il suo rigore formale, la sua sacralità, la sua monodirezionalità. Ora abbiamo compreso appieno il vero motivo dell’introduzione del Novus Ordo Missae.

Uno scisma non dichiarato è come un colpo di stato non manifesto, anzi una sorta di “metamorfosi di stato”, meticolosamente preparato per tempo, indolore, ma solo apparentemente; sobrio, ma solo in superficie; temperato, ma solo nella forma, proprio come quello in atto in questo sciagurato paese. La tirannia camuffata da democrazia è come il “nuovo grande oriente”  camuffato da chiesa cattolica.

Come durante il regime di Pol Pot veniva messa in atto una lotta spietata a chi portava gli occhiali, ora, con un cambio solo apparente di prospettiva, ma con la stessa brutalità, le guardie rosse della rivoluzione impongono le mascherine. La battaglia contro gli ultimi recidivi cattolici assomiglia molto ai metodi del Mes (Movimento di Educazione Socialista) voluto da Mao per attuare la sua Rivoluzione Culturale.

Ovvio che tutto questo è cominciato almeno cinquanta anni fa. Non si potrebbe attuare, in modo così sistematico, una rivoluzione se non si disponesse di “quadri” preparati per tempo, a predisporne le tappe decisive:

·  L’anno della misericordia, per preparare il terreno alla “rappresentazione” antropica di Dio. In fondo, oggi, anche lo Stato perdona, sempre, i cattivi che non esistono.

·      L’enciclica «amoris laetitia», attacco alla famiglia, apertura alle nuove “famiglie”.

·   L'enciclica «laudato sii», madre terra e pachmamama, attacco a  Dio quale Creatore unico e Sovrano su tutte le cose.

·   L’enciclica «“islamici” tutti», la Sacra Scrittura e le vite dei Santi a diabolico supporto e giustificazione dell'ideologia per la definitiva dissoluzione della Chiesa Cattolica visibile.

·   Infine il piano dell’invasione programmata per renderci minoranza numerica, culturale, religiosa e agevolmente instaurare la dittatura massonico-post-comunista.

Il tutto attuato con l’uso costante, assillante dei compromessi con il mondo, vedi la sottomissione illegale ai voleri del governo e l’accordo con la Cina. Gesù poteva, se solo avesse voluto, raggiungere un compromesso con Pilato, ma pure Anastasia, Agnese, Cecilia, Cristina, Quirico e Giuditta, Emidio, Gennaro, Cosma e Damiano, Eulalia, Filomena, Ciriaco, Crispina, Crisogono, Marcellino e Pietro, Saturnino…. Questi qua, invece, l’avrebbero leccata la statua dell’imperatore Diocleziano…

Da “Ponzio Pilato” di Aldo Schiavone: “Gesù, di fronte a Pilato, non cercò in alcun modo di sfuggire alla condanna… Pilato prese atto di quale fosse la meta dove Gesù voleva arrivare. Capì che la sua non era indifferenza di fronte alla fine, ma che vedeva invece con lucida passione la morte sulla croce come l’unico esito possibile della propria predicazione, l’ultimo cruciale atto della sua esistenza terrena, e non voleva a nessun prezzo sottrarvisi.

Il benessere ha portato l’uomo lontano da Dio perché il di più non basta mai, è una rincorsa al sempre maggiore appagamento del corpo a scapito dell’anima. La  trasformazione, culturale e materiale, che ha avuto l’uomo nella società industriale lo ha portato lontano da Dio. La Chiesa doveva mantenere le posizioni, casomai arroccare, perché unico rifugio, invece ha ceduto al mondo, anche lei inseguendo l’appagamento del corpo, o aiutando nella soddisfazione dei bisogni materiali, mettendo al primo posto la missione terrena. La Chiesa ha sempre aiutato i bisognosi ma lo faceva da una posizione spirituale, prima viene il rapporto con Dio poi il rapporto con l’uomo, come sta scritto nella regola di tutti i fondatori degli ordini religiosi di vita attiva. La Chiesa deve pensare alle nostre anime, aiutarle affinché possiamo amare il nemico vincendo il nostro orgoglio, vestire gli ignudi rinunciando alla nostra avarizia, dar da mangiare agli affamati fiaccando la nostra ignavia, alloggiare i pellegrini, quelli veri, sconfiggendo la nostra insofferenza, visitare gli infermi, superando la nostra paura. Delle filosofie ateo-marxiste, ecologiste, globaliste, moderniste, non sappiamo che farcene. Senza la Grazia che la Chiesa ci aiuta a ricevere non riusciremmo a liberarci dalle attrazioni, corporali e intellettuali, del mondo. Non ce ne faremo una ragione, noi non aduleremo mai il nuovo imperatore.



P.S.

la nuova chiesa e la nuova religione hanno bisogno di nuovi dei con tanto di imprimatur:
















domenica 4 ottobre 2020

TESSITORI DI FRATERNITÁ

 


Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione;
chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. Galati 6,8

Era la sua ultima messa in quella chiesa, da queste parti, dopo tre anni, nei quali aveva radunato attorno a sé una piccola compagnia di fedeli cattolici. Molti dei presenti hanno visto il disco dell’ostia illuminarsi, durante la lunga elevazione. Forse Gesù ha voluto ringraziarlo e salutarlo. Poi il viaggio a Roma, per essere sottoposto ad una terapia di decattolicizzazione e, in definitiva, di decristianizzazione, ma solo in apparenza, per fortuna, una fede forte non si può scalfire.

Ora, smarrito, nell’affannosa, quanto vana, ricerca di una messa cattolica, celebrata da un prete cattolico, arrivo ad una chiesetta di quartiere. Mi metto in fondo, con tanto di mascherina, in piedi, ad ascoltare il sacerdote che proclama: «non bisogna amare Dio, perché Dio non è vanitoso, dobbiamo amare l’altro….. se Dio ha fallito non dobbiamo preoccuparci dei nostri fallimenti… dobbiamo sentirci tutti fratelli, come dichiarerà, domani, il papa ad Assisi annunciando al mondo la sua nuova enciclica “Fratelli tutti”

Poi la consacrazione, tutti rigorosamente in piedi. Alla comunione, vista l'aria che tira, non ci provo neanche ad inginocchiarmi e chiedere l’ostia sulla lingua, ma osservo che ad una signora, che compie questo gesto, viene rifiutata.

Uscendo, si fa notare il manifesto della Giornata Missionaria che proclama: “TESSITORI DI FRATERNITÀ”. Ma Gesù ha detto: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato." Mt 28:19. Peccato che, sia al titolo della nuova enciclica, sia all’annuncio del manifesto, manchi la parola incomparabile, insostituibile, definitiva, “IN CRISTO GESÙ”.

FRATELLI TUTTI, sì ma in Cristo e non è un’inezia….

Apocalisse 19:10. "Io sono servo come te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù"

Atti 9:17. Saulo fu considerato, da Anania, un "fratello" solo dopo che ebbe accettato Cristo come Suo Salvatore.

Atti 21:17. "Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente" Solo quelli che erano compagni di fede erano i  “fratelli”.

1Corinzi 7:14. "la moglie non credente è santificata nel marito credente." L'uomo è un credente perciò un fratello: sua moglie non è credente e perciò non è compresa in questo appellativo.

Giovanni 21:23. Il termine “fratelli” è riferito nella Bibbia solo ai credenti.

1Giovanni 1:3. "quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo."  Un individuo non può avere comunione spirituale con dei cristiani finché non ha conosciuto i fatti del Vangelo e finché, naturalmente, non ha agito sulla base di essi, accettando Cristo come suo Salvatore.

1Pietro 2:17. "Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio. Onorate il re." C'è un rapporto particolare tra quelli che sono fratelli in Cristo.

1Tessalonicesi 5:14-15. "Vi esortiamo, fratelli, ad ammonire i disordinati, a confortare gli scoraggiati, a sostenere i deboli, a essere pazienti con tutti." Dobbiamo fare del bene a tutti gli uomini, ma una distinzione sussiste tra quelli che sono “della famiglia dei credenti” e gli altri.

Efesini 2:19. "Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio." Prima di accettare Cristo come nostro Salvatore eravamo stranieri; ma quando abbiamo accettato Cristo come nostro Salvatore, siamo divenuti concittadini li quelli che hanno fatto altrettanto.

Galati 6:10. "Così dunque, finché ne abbiamo l'opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede." Dobbiamo fare del bene a tutti gli uomini: ma una linea chiara separa quelli che sono "della famiglia dei credenti" dagli altri.


Ma, sia chiaro, all’epoca non c’erano i registratori…

Ma forse è meglio leggerlo tutto Isaia 6,1-13 da cui è tratta l’invocazione del manifesto: “Eccomi, manda me”.

Poi udii la voce del Signore che diceva:

«Chi manderò? E chi andrà per noi?»

Allora io risposi: «Eccomi, manda me!»

Ed egli disse: «Va', e di' a questo popolo:

"Ascoltate, sì, ma senza capire;

guardate, sì, ma senza discernere!"

Rendi insensibile il cuore di questo popolo,

rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi,

in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi,

non intenda con il cuore,

non si converta e non sia guarito!»

E io dissi: «Fino a quando, Signore?»

Egli rispose: «Finché le città siano devastate,

senza abitanti,

non vi sia più nessuno nelle case,

e il paese sia ridotto in desolazione;

finché il SIGNORE abbia allontanato gli uomini,

e la solitudine sia grande in mezzo al paese.

Se vi rimane ancora un decimo della popolazione,

esso a sua volta sarà distrutto;

ma, come al terebinto e alla quercia,

quando sono abbattuti, rimane il ceppo,

così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa».

Desolazione e sconforto, croci spezzate, guglie abbattute, chiese incendiate, statue frantumate, edicole sacre demolite, ostie disperse, anime umiliate, equivoci individui, biechi, alcuni incappucciati, altri tatuati con strani segni, che ti guardano minacciosi, perché non sei come loro, un cielo cupo, un’aria fetida, avvelenante, come l’esalazione solforosa di un vulcano, come i miasmi di un cimitero nel pomeriggio caldo di agosto. Gesù, accoglimi nel ceppo! Da lontano solo un piccolo disco nel cielo, bianco e luminoso, più del sole, che mi guida verso casa.

La sera, ho provato a leggere l’enciclica “fratelli tutti”. Non ce l’ho fatta a scorrerla per intero, parole, parole, parole, parole, sembra un trattato di sociopolitica, sono stato sfortunato, ho incontrato una sola volta la parola Gesù, mai la parola Maria, non riesco ad raggirare più di tanto la mia pazienza, l’ho fatto a tratti, tanto per capire che si tratta di un manifesto ideologico, senza alcuna tensione verso l'Alto, con pochi riferimenti alla Scrittura, asserviti all'ideologia, violento perché arrogante, cupo, carnale, utopico, ateo, tanto per constatare, amaramente, che il “manifesto del partito comunista” dice le medesime cose, ma in modo molto meno infido e molto più sintetico.


Claudio Gazzoli - Monterubbiano





P.S.
... dalla lettera ai Galati 1,6-12
Mi meraviglio che, così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo voi passiate a un altro vangelo.  Però non ce n'è un altro, se non che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.  Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema!  L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!
Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. 



- In merito alla citazione dell'INCONTRO TRA S. FRANCESCO e il SULTANO, fatta nell'enciclica "FRATELLI TUTTI", visto che si arriva a modificare, impunemente e strumentalmente, come già avvenuto con alcuni brani della Sacra Scrittura, la parola scritta, ecco il brano originale, tratto dalle FONTI FRANCESCANE:

1173 8. Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, che si chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e virtuoso. Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle, il Santo si rallegrò e disse al compagno: “ Abbi fiducia nel Signore, fratello, perché si sta realizzando in noi quella parola del Vangelo: -- Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi--”. Avanzarono ancora e si imbatterono nelle sentinelle saracene, che, slanciandosi come lupi contro le pecore, catturarono i servi di Dio e, minacciandoli di morte, crudelmente e sprezzantemente li maltrattarono, li coprirono d'ingiurie e di percosse e li incatenarono. Finalmente, dopo averli malmenati in mille modi e calpestati, per disposizione della divina provvidenza, li portarono dal Sultano, come l'uomo di Dio voleva. Quel principe incominciò a indagare da chi, e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano giunti fin là. Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità. E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire.

1174 Anche il Soldano, infatti, vedendo l'ammirevole fervore di spirito e la virtù dell'uomo di Dio, lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui. Ma il servo di Cristo, illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: “Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: Io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa ”. Ma il Soldano, a lui: “ Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede ”. (Egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d'età avanzata, appena udite le parole della sfida).









lunedì 21 settembre 2020

IL GRANDE INGANNO

Telemaco Signorini - Pascoli a Castiglioncello


«Ma l'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono.»  Sal 48

Ero bambino, negli anni cinquanta, della generazione nata da genitori che hanno dovuto ricostruire, se non si apparteneva direttamente alla categoria dei vincitori, con le proprie mani, una vita dignitosa, una casa, un lavoro, un sistema di relazioni che la guerra prima, la guerra civile dopo, avevano disperso, se non del tutto demolito. La modernità, da noi, era arrivata solo in parte, in alcune zone, in alcune case. Ricordo molte donne di paese con la brocca in testa, dopo essersi rifornite di acqua alla fontana pubblica o trasportare, con il secchio di zinco, i panni da lavare al lavatoio. Ricordo i carri, alcuni bellissimi, trainati da una coppia di buoi, mentre trasportavano il fieno o il grano, da far macinare al molino a pietra, su cui noi bambini potevamo, se il contadino acconsentiva, salire al volo. E poi i fornelli a carbone, la lampada ad acetilene, le candele, perché la corrente era molto fioca e mancava spesso, le lunghe serate invernali, senza la televisione, che non era ancora arrivata, davanti al camino acceso che doveva assicurare le braci per scaldare il letto (la monaca e lu prete, per chi è di queste parti), l’acqua ghiacciata con cui dovevamo bagnarci il viso la mattina.

Posso dire che il quadro di costumi, tradizioni, mestieri, relazioni, cultura popolare, poteva essere paragonabile, ancora negli anni cinquanta, nei piccoli centri marchigiani dell’interno, a quelli mirabilmente descritti da Leopardi ad inizio ottocento.

Improvvisamente, come un fiume in piena, è arrivata la modernità. Era ovviamente impossibile rinunciarvi. Se ti portano l’acqua corrente, i fornelli a gas, il telefono in casa, il frigorifero, il riscaldamento, la lavatrice, non ti chiedi che cosa vogliono in cambio, non ti chiedi dov’è l’INGANNO, a parte, ovviamente, il costo economico. Lo scopri cinquant’anni dopo che volevano e vogliono le opinioni che dicono loro, le notizie che dicono loro, le nozioni che dicono loro, la scuola che dicono loro, i modelli di comportamento che dicono loro, i consumi che dicono loro, i vestiti che dicono loro, i giochi che dicono loro, la musica che dicono loro, la politica che dicono loro, la religione che dicono loro, perché vogliono le tue opinioni, i tuoi pensieri, i tuoi sogni, la tua anima.

Non potevano permettersi di prendersi tutto senza occupare l’anima. Il Concilio Vat. II è stato convocato per questo, per prendersi, in modo seducente e pervadente, l’anima del popolo di Dio. Un’anima orientata a Dio, guidata da una Chiesa perfettamente coerente con il proprio mandato, non confusa dalle lusinghe del mondo nuovo, non disorientata, sarebbe stata un ostacolo insormontabile al progetto.

Non intendo ovviamente addentrarmi nella sconfinata, complessa analisi del Concilio, dei suoi decreti, dei successivi documenti. Lascio questo a persone molto più competenti di me. Mi limito ad osservare che quando mi sono deciso di leggerli, vi ho riscontrato una specie di “corruzione” dovuta alla presenza di alcuni elementi, magari pochissimi rispetto all’insieme, contrari alla Dottrina della Chiesa, alla sua Missione. Faccio solo l’esempio di Nostra Aetate, in cui in un impianto cristologico, comunque confuso, mai illuminante il cammino verso Gesù, che nondimeno pretende di legittimare il rapporto con le altre religioni, la “fratellanza universale”, l’unità, la dignità umana, i diritti di tutti gli uomini, si legge “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”. Oggi, dopo sessant’anni, abbiamo visto dove porta il “vero e santo in queste religioni”, avendo assistito alla paradossale, infernale adorazione nei Giardini Vaticani.

Elementi estranei inseriti con una tecnica simile al “drogaggio” dei semiconduttori, che, con l’aggiunta di microscopiche parti di metalli diversi al silicio, ne mutano decisamente le proprietà fisiche. Non è un caso che questo “drogaggio” dei semiconduttori abbia reso possibile la rivoluzione digitale, mentre il “drogaggio” del concilio ha reso possibile la rivoluzione della Chiesa. Ha realizzato il disegno di abbattere  ogni aspirazione trascendente, per realizzare modelli di pensiero orizzontale, assoggettando l’anima individuale all’ideologia del pensiero unico e del partito.

La Chiesa post-conciliare ha seguito passo-passo l’evoluzione laica del mondo. Non ci siamo chiesti, allora, dov’era l’INGANNO. Tutto ci sembrava in linea con l’euforia “emancipatrice” di quegli anni.

Così la rivoluzione musicale pop/rock anni sessanta e subito la chiesa, a ruota, con le schitarrate nelle chiese e  melodie ritmate a sfondo sentimentale.

Le assemblee politiche fine anni sessanta e subito la chiesa con la sostituzione della Messa di sempre con la cena-assemblea, di chiara matrice protestante.

Le aperture democratiche, la partecipazione, e subito la chiesa con i consigli parrocchiali, i consigli diocesani, gli incontri sinodali.

La deriva informale, disinvolta dei costumi e subito i preti ad eliminare la talare e a rendersi, ormai, irriconoscibili.

La eliminazione degli elementi formali, nelle relazioni sociali e gerarchici, nelle responsabilità, e la chiesa subito con la banalizzazione della liturgia.

La tecnica dell’illuminazione mediante riflettori, con i profluvi di luce abbagliante, inondante, che rende tutto omogeneo, a favorire la seduzione sulle cose e subito la chiesa, a ruota, con l’adozione dei riflettori, sempre più luminosi, nelle chiese.

La liberazione della donna, la glorificazione dell’omosessualità, la delegittimazione della famiglia e la chiesa, a ruota, che spalanca le porte dei seminari a ogni tipo di lascivia, arrivando, è cronaca di ogni giorno, a benedire, davanti all’altare, le coppie omo o come altro si dice… Il papa salutando, qualche giorno fa, in piazza San Pietro (ma non so fino a quando potremo continuare a chiamarla con questo nome), un’associazione di genitori “lgbt” afferma: «la chiesa ama i bambini lgbt», facendo propria una definizione generica ultramodernista, nel plauso generale, senza chiarire se li ama perché li considera vittime di una efferata ideologia autodistruttiva o perché “la Chiesa castiga il peccato ma accoglie il peccatore…” o perché, semplicemente, avvalorarlo non è peccato. C’è da chiedersi: “ma la chiesa ama i bambini normali ?,  la chiesa ama le famiglie normali ?”.

La strategia dell’indottrinamento acritico e della propaganda ideologica, tipica della cultura dominante di matrice marxista, che reinterpreta e riscrive la storia, in senso storicistico, viene fatta propria dalla chiesa nella nuova esegesi della Sacra Scrittura, nella rielaborazione dei testi sacri. L’esempio della nuova traduzione del Padre Nostro è quello più eclatante, ma, ovviamente, non l’unico. Qui l’inganno arriva persino a cambiare le parole del testo greco, visto che non è riportato in alcun manoscritto il termine corrispondente a “non ci abbandonare”. Ormai non si tiene in alcun conto della Vulgata di San Gerolamo, per il quale la traduzione è stata un atto di grande fede, prima che un esercizio intellettuale, sicuramente Ispirata e sofferta. Innumerevoli sono gli esempi che si possono fare, mi limito ad uno solo. Dal volume IV Liturgia delle Ore della CEI ed. 1989, Salmo 109: manca il versetto 6, presente, invece, nel Breviario Divinum Officium 1960:  «Egli giudicherà le nazioni, riempirà [tutto] di rovine, schiaccerà sulla terra le teste di molti». La traduzione, la struttura,  si adattano alla sensibilità mutata dell’uomo moderno, semidio, che deve perseguire la felicità terrena, e quindi non può angosciarsi per parole troppo forti, non deve pensare a cose cattive come l’Inferno, va assistito, blandito, curato, coccolato.

Ma l’INGANNO più grande è quello dell’ECUMENISMO, perché nasconde, in modo insidioso e strumentale, l’accoglimento dell’eresia. Ora sappiamo perché, per la gerarchia, fosse così auspicabile la migrazione, ormai giunta a compimento, verso un vago protestantesimo, attento a tutte “aperture” alle quali sono "molto sensibili" pure loro.

Ridotta così la religione, in una chiesa che si occupa tanto “ardentemente” delle cose della vita terrena, anzi di più, del piacere dei corpi e affatto della vita soprannaturale e quindi della salvezza delle anime, è come prendere un caffè con gli amici, come fare una gita e sentirsi più buoni, è come fare un giro in barca e sentirsi in pace con il mondo. Viene a mancare Tutto, la tensione verso il soprannaturale, il conforto di qualcosa molto più grande di noi. Un’altra religione.

Gesù non è andato a rimorchio dei sadducei che rifiutavano la tradizione orale, o dei Farisei, che, invece, la approvavano, non è andato a rimorchio degli Zeloti, propugnatori della guerra contro i Romani, non ha promosso o fiancheggiato sodalizi socio-politici. Ha tracciato il sentiero, impervio ma inconfondibile, che siamo chiamati a seguire pure noi.

Il grande inganno procura il DELIRIO della ragione e del discernimento. Così accade che vengano considerati “malati di tradizionalismo” i pochi religiosi ancora “refrattari” e coraggiosi, che vengono perciò invitati, ma forse è meglio dire obbligati, a sottoporsi ad un periodo di disintossicazione o “rieducazione”, come nei migliori regimi comunisti della storia, da parte dei nuovi khmer rossi, infiltratisi, da più di un secolo, in modo marginale prima, ma sempre crescente, inarrestabile come orde di Urukhai, nelle strutture della Chiesa. Ora sono al potere, insolenti, altezzosi, inamovibili, compiaciuti di avere così zelantemente compiaciuto il loro vero padrone.

Un sacerdote che conosco, che “si ostina” a dare la comunione in bocca, a fare omelie parlando soltanto della Scrittura, delle vite dei Santi, Dei Dottori della Chiesa, dei Novissimi è stato, qualche giorno fa, convocato dal generale dell’Ordine di appartenenza: «ti mandiamo a Roma» gli ha comunicato, «hai bisogno di guarire perché sei malato di tradizionalismo…». Solo che, invece, il sacerdote, peraltro giovane, è sanissimo, mentre il generale dell’Ordine avrebbe bisogno immediato delle cure di un bravo esorcista.

Il GRANDE INGANNO è quello consumato, da parte della chiesa, a spese dell’anima individuale, proponendo spiegazioni agli antipodi rispetto alla tradizione popolare. Leggo, dal sito santuariodiloreto.it:

Alcuni indizi fanno pensare che gli autori del trasporto, non siano stati gli angeli del cielo, ma una famiglia denominata Angeli. Era il 17 maggio 1900 quando Giuseppe Lapponi, archiatra pontificio di Leone XIII, indicava di aver letto negli archivi vaticani alcuni documenti che indicavano una nobile famiglia bizantina di nome Angeli, che salvò i materiali della Casa della Madonna dalla devastazione mussulmana e li fece trasportare a Loreto.” Solo che è stato dimostrato, soprattutto grazie alla dedizione del prof. Nicolini, che questi “documenti” degli archivi vaticani sono falsi.

Se “alcuni indizi” sono sufficienti per non credere al trasporto miracoloso della Santa Casa di Loreto, come possono credere agli innumerevoli miracoli di cui la pietà cristiana ha conservato la tradizione ? Infatti non credono più nei miracoli, perché “non spiegabili razionalmente”. Come possono credere alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, creazione della materia dal nulla, in opposizione al primo, fondamentale, principio della fisica ? Come possono credere che un corpo, morto da tre giorni, in decomposizione, possa riattivare tutte le funzioni vitali, fino a riavere la vita nella Risurrezione ? E infatti non ci credono, visto che molti nella gerarchia sostengono trattarsi di un simbolo!!

Mettere in discussione secoli di “pietà popolare” verso la Madonna di Loreto è una forma di sacrilegio di cui si rendono complici anche blog molto diffusi, ospitando, in virtù della ingannevole “par condicio”, metodici interventi dissacratori con evidenti segnali demoniaci, con lo scopo esclusivo, come nei dibattiti politici, di creare confusione e azzerare ogni valore di verità. Pure questo zelo è cedimento all’illuminismo, contro la Fede. Ma prima delle “conquiste” della cosiddetta democrazia, prima della “correttezza professionale”, viene la coerenza del rapporto con Dio, che non ammette discussioni, dispute, investigazioni.

La scorsa settimana, avendo intuito che una religiosa e le sue consorelle, avrebbero espresso un certo voto, ho pensato bene di informarla che stavano per dare il proprio consenso e quindi, in una certa misura, condividere il programma, ad un partito i cui rappresentanti vanno sulle piazze con cartelli “Dio, patria, famiglia che vita de merda”, favorevole all’aborto, alla raccapricciante pillola abortiva, all’abolizione della famiglia naturale per assecondare le “famiglie” omo e oltre…, all’adozione, da parte di queste medesime “famiglie”, di bambini magari nati in provetta e con l’utero in affitto e a mille altre diavolerie che fanno infuriare persino Lucifero, invidioso che gli allievi abbiano superato il maestro. La sua risposta mi ha lasciato interdetto: «tanto lo fanno pure gli altri…». Ora, a parte la palese, sprovveduta conferma della mia intuizione, io non avevo proposto alternative, c’è sempre l’opzione di non dare per forza il consenso se non c’è condivisione. Ho risposto soltanto che tutte le volte che avevo votato scheda bianca, o che non ero andato a votare, non avevo sentito l’esigenza di riferirlo in confessione. Quella risposta, penosamente banale e profana, dimostra quanto la “propaganda dei vincitori” sia riuscita, negli ultimi sessant'anni, a convalidare l’idea che questi sono i buoni, che “ogni tanto sbagliano”, mentre quelli sono i “cattivi”, irrecuperabili. Dimostra quanto i principi fondanti della religione vengano calpestati dalla faziosità e dai compromessi della politica, quanto l’INGANNO IDEOLOGICO sia riuscito a disonorare la vocazione di una grande parte di religiosi. O forse è stato lo stesso inganno ideologico ad averne condizionato la vocazione…

La nostra anima non può permettersi di essere ingannata, non vuole essere “animula vagula blandula”, non ha bisogno di riflettori che non si possono guardare, di bufere che tutto travolgono, di idoli che non si possono adorare, di canzoni che non si possono cantare, di utopie, contrarie alla tradizione, che non si possono accettare. Ha bisogno di guardare la luce fioca, ma rischiarante, della candela, di ascoltare il “sussurro di una brezza leggera”, di dissetarsi all’unica fonte di acqua fresca, di mondarsi al lavatoio con l’acqua corrente, di nutrirsi del pane di farina purissima macinata sulla pietra dell’unica Dottrina, di viaggiare sul carro variopinto verso l’Infinito, dove Gesù e Sua Madre ci stanno, premurosamente, aspettando. 

Claudio Gazzoli - Monterubbiano