Le caprette da
sole riporteranno a casa le mammelle gonfie di latte - e gli armenti non
temeranno i grandi leoni. - La culla stessa effonderà per te deliziosi fiori. -
Morirà anche il serpente e la ingannevole erba del veleno - morirà; dovunque
nascerà l’amomo assiro.
Virgilio - Bucolica IV
Una sera di tanti
anni fa, potevo avere sette anni, una di quelle sere cupe d’inverno, con il
freddo vento da est a sferzare le case e a scombussolare i tetti, quando si ha
voglia solo di andare a letto, per trovarlo fortunatamente riscaldato, con il
braciere (per chi è di queste parti, “la
monaca e lu prete”), un pastore bussò alla nostra porta per chiedere un
caffè caldo perché, diceva, non poteva addormentarsi, proprio quella notte. I
lupi, a causa della neve prolungata, erano scesi dalla montagna fino quasi al
mare e lui doveva sorvegliare, assieme ai suoi cani, il gregge che gli era
stato affidato. Non erano ancora arrivati i pastori dai paesi dell’Est, parlava
un dialetto arcano ma comprensibile, perché le persone umili si fanno sempre
capire. Veniva dalla zona di Campobasso, dove aveva lasciato la famiglia per
accettare questo lavoro più a nord. Non avevo mai conosciuto un pastore, li
avevo visti ma non “sentiti”. Capitava spesso di incontrare greggi di pecore in
transumanza anche dalle nostre parti, nel sud delle Marche.
Ricordo gli ululati di quella
notte quando, prima di addormentarmi, con il vento che sibilava paurosamente
lungo i vicoli del paese, pensavo a quell’uomo nella bufera a custodire le sue
pecore e a me, che non vi avrei resistito neanche un minuto. Ora, per una
naturale trasposizione della metafora, ci ripenso sempre quando rifletto sulle
nostre anime, quando vedo altri pastori, altre pecore, altri pascoli, altri
lupi, altre tempeste.
Ora tutto è cambiato. Quel poco
che era rimasto della pastorizia, che per millenni ha avuto un ruolo basilare nella nostra economia, è stato sopravanzato
dalla pastorizia industriale, dove primaria è diventata la produzione degli
agnelli, da cucinare al forno con le patate o a scottadito, mentre la lana
viene quasi sempre eliminata, dove il trasporto con autocarri ha preso il posto
della transumanza. Completamente perduto, pertanto, il circolo virtuoso che
legava la pastorizia all’agricoltura e alla vita dei nostri paesi.
Così come è completamente
perduto il circolo virtuoso che legava l’affannosa transumanza della nostra
anima verso i veri pascoli di alta quota, con la scorta premurosa dei pastori, grandi
conoscitori dei sentieri sicuri.
L’unica che non ha mai
dimenticato l’odore delle pecore, dopo duemila anni, è la Vergine Maria, che
per i pastori ha sempre avuto una particolare predilezione.
Portano le pecore su valli paludose
a cibarsi di cicuta, sambuco ed altri arbusti cattivi e le lasciano insidiare
dalle sabbie mobili, seducendole con erbe che passano, unicamente, per il tubo
digerente, illudendole di avere ricompense più accattivanti nelle false terre promesse
di pascoli senza limiti, ma, intanto, cancellano la loro memoria con suadenti
melodie per farle sentire diverse, per far dileguare il loro istinto naturale,
sostituendolo con l’istinto artificiale dell’unica appartenenza.
Di notte, i pastori, le lasciano
sole, mentre loro si riuniscono in sabba idolatrici ad adorare orrende statue e
poi, ammucchiate degenerate, libagioni a tutti gli dei falsi della terra di
sotto.
Il pastore capo, ora,
familiarizza con i lupi, gli bacia i piedi e, assieme ai suoi fedelissimi
pastori, li invocano, li esaltano, li blandiscono, li omaggiano , hanno occhi
solo per loro, senza sapere che, quando meno se lo aspettano, li sbraneranno,
perché i lupi non si lasciano ammaestrare, anzi, pensano di essere i
privilegiati. Arrivano ad ululare fin sotto ai recinti, non per spaventare, per
ora, ma per lodare il pastore, fargli sentire la loro vicinanza di comuni intendimenti.
Fa accordi con i capibranco dei lupi, delle iene e degli sciacalli (per
l’occasione affratellati) cedendo a loro il diritto di scotennare tutte le
pecore che vorranno e, quelle che sopravviveranno, di allevarle per divorarsele
a poco a poco. Hanno completamente ripudiato millenni di consuetudini che,
perfezionate dal tempo e dalla pietà, illuminavano, anche di notte, il percorso
impervio verso la salvezza, solo per assecondare gli scellerati costumi dei
loro nuovi compagni. Anzi, fanno finta di non vedere, arrivando persino a
giustificare le loro pratiche criminose, come quella di uccidere gli agnellini
ancora nel grembo della loro madre o di far accoppiare tra di loro, per il
proprio esclusivo piacere, i montoni. Sono come invasati da una frenesia
ossessiva che li porta a perseguire il proposito malefico di farne scomparire
persino la specie.
A volte, chi riesce a decifrare
il loro belare, sente alcune pecore, quelle ancora resistenti, bisbigliare: “vogliamo
i pascoli di alta quota, le erbe croccanti e dolci di Campo Imperatore, i prati
remoti del monte Vettore, l’acqua fresca delle sorgenti dei monti della Laga”. Vogliamo
ricominciare a cantare:
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa
riposare,
ad acque tranquille mi
conduce.
Mi rinfranca, mi guida per
il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Ma vale, ancora oggi più che mai, il monito del grande Sant’Agostino:
“Mai dunque succeda che veniamo a dirvi: VIVETE COME VI PARE! State
tranquilli! DIO NON CONDANNERA’ NESSUNO: basta che conserviate la fede
cristiana. Egli vi ha redenti, ha sparso per voi il sangue: quindi non vi
dannerà. Che se vi viene la voglia d’andarvi a deliziare con gli spettacoli,
andateci pure! Alla fin fine CHE MALE C’È? E queste feste che si celebrano
nell’intera città, con grande tripudio di gente che banchetta e, come essa
crede, si esilara, mentre in realtà si rovina, alle mense pubbliche, andateci
pure, celebratele tranquilli: tanto LA MISERICORDIA DI DIO E’ SENZA LIMITI E
TUTTO LASCERA’ CORRERE!... Dio
chiederà conto delle sue pecore ai cattivi pastori; chiederà conto della loro
morte“ Sant’Agostino, Discorso 46.
Una volta, molto spesso, si ricordava
un Santo della Chiesa… Oggi viene considerato, anche questo, “superato”… Superati invece sono i modernisti, superati nell’animo ancora prima di nascere,
superati nello spirito in quanto pervasi completamente e irrimediabilmente
dalla materia, superati nei sensi, inebriati e sopraffatti
dall’effluvio della carne, superati e sovrastati dal loro protettore, perché non hanno capito, o meglio, lo hanno strumentalizzato,
che la Parola è un regalo immenso e immutabile che Dio ha fatto all’uomo di
sempre per guidarlo, come i binari di un treno, diritti e inamovibili. È l’uomo
che deve camminare sui binari, non i binari che devono seguire l’uomo !!
Pochissimi sono i pastori che
non ci stanno ma nessuno ha il coraggio di scovare le origini odierne del male,
dalle parti del residence Santa Marta.
I loro discorsi contengono
molte domande, senza risposta e sono zeppi di condizionali: ”si dovrebbe,
parrebbe che, si ha l’impressione che, dovrebbe consistere in, sembra dare una
lettura di, sembrano non rendersi conto di, sarebbe importante che, sentiamo
necessario evitare strade che, ci sarebbero i fedeli che, l’eventuale
indegnità, la possibile eresia, è quasi un’apostasia……“ non è un dire SÌ, SÌ, NO, NO.
Non è più tempo di
condizionali. Al massimo, anche se raramente, si sente dire: “si può solo
pregare…”. Ma Gesù, osservando lo scempio che, davanti ai suoi occhi, si compiva
nella casa del Padre, quella volta non si è messo a pregare, ma ha scacciato i
mercanti dal Tempio.
È giusto porre le domande, ma
in questa notte senza fine, in questa solitudine dell'anima abbandonata sulla
brughiera, melmosa e puzzolente, dagli aguzzini dell'ideologia planetaria dominante,
in questo nuovo calvario dello Spirito, avremmo bisogno anche delle RISPOSTE.
Non abbiamo più niente da
difendere, occorre contrattaccare, senza temporeggiare. Non ci servono tanti Quinto Fabio Massimo, abbiamo
disperatamente bisogno di uno Scipione.