Faccio
seguito al mio primo intervento sulla opportunità di procedere alla
realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, cercando di esaminare
maggiormente, per quanto è possibile, gli aspetti tecnici relativi alla sua
fattibilità. Inoltre credo che in questa impresa si concentrino tutte le
“virtù” di questo popolo, o meglio, di quello che è diventato o lo hanno fatto
diventare.
Sento dire
da più parti, sia in diretta che in “rete”, amenità di questo tenore: “oggi nulla
è impossibile all’uomo”, “abbiamo ormai la tecnologia per raggiungere qualunque
obiettivo” e, con riferimento al ponte: “i problemi tecnici sono tutti
superabili” e, con una punta di inaspettato amor di patria “facciamo vedere al
mondo che cosa sappiamo fare !”, poi, dulcis in fundo, la più comica di tutte
“tanto ci penserà l’intelligenza artificiale !”.
Non più
Prometeo che sottrae il fuoco agli Dei e lo consegna all’uomo, ma l’uomo stesso
che, senza più vergogna, in modo ridicolo, prende il posto di Dio.
Quanto segue
vuole essere solo un accenno alle ragioni tecniche per le quali, a mio modesto
parere, quest’opera non deve essere eseguita, sebbene occorre ammettere che una
parte consistente del ponte è già stata realizzata, anche se non si vede, visto
che i costi salatissimi della progettazione vengono finanziati da oltre
trent’anni. Farò solo un cenno alle cause prime, ma nessuno alle cause seconde,
alle ragioni vere per le quali una parte consistente della “politica” è
letteralmente elettrizzata, solo per non offendere l’intelligenza di chi legge.
Tra le forze
che maggiormente agiscono su una struttura di queste dimensioni, il vento ha
una parte importante; l’aerodinamica è la disciplina che ne studia gli effetti.
John D. Anderson, nel suo libro “Aerodynamics”, un testo fondamentale per chi
vuole cominciare ad occuparsi di aerodinamica, scrive, nell’incipit al capitolo
sulla “turbolenza”, a cui peraltro dedica solo 20 pagine su un totale di 1098,
con solo formule empiriche, proprio perché questo è un campo in cui le leggi
fisiche sembrano essere latitanti:
“La
natura, quando è lasciata libera a sé stessa, va sempre verso lo stato di
massimo disordine”.
Lo stato di
disordine in cui non è possibile prevedere il comportamento della materia si
chiama “caos”. Ho sempre pensato che Dio creò il regno di Adamo in modo
ordinato perché da Lui governato. Con il Peccato Originale è come se Dio avesse
lasciato la natura libera a sé stessa, precipitosa nel raggiungere lo stato di
massimo disordine, di massima entropia. Nella vita di tutti i giorni siamo
immersi in contesti che sembrano non rispondere a leggi deterministiche e che
rientrano in questo disordine. Nessuno riuscirà mai a determinare con
precisione in quale punto esatto del terreno andrà a cadere un fiocco di neve. L’uomo,
con il suo ingegno, è riuscito a confinare il caos, ma solo localmente e non
oltre certi limiti che, in alcuni casi, possono essere determinati.
Ma allora
quali sono questi limiti ? È possibile costruire un ponte a campata unica tra
Civitavecchia ed Olbia ? No, sicuramente no, siamo certi che non sarà mai
possibile, per intuito, per quel naturale buon senso che stiamo strumentalmente
perdendo, tipico delle generazioni che ci hanno preceduto. È possibile
costruire un ponte sullo Stretto di Messina, con i suoi 3300 metri ? Ni. Ci
sono limiti fisici facilmente determinabili; sono quelli legati alla resistenza
del cavo di acciaio che deve sostenere il proprio peso e quello dell’impalcato
sottostante. Con i materiali a disposizione supponiamo che questo limite sia
10.000 metri (sì ma poi c’è da considerare il margine di sicurezza); questo
renderebbe realizzabile il ponte, ma con un margine di sicurezza alquanto
inferiore a quello del ponte sospeso attualmente più lungo, quello dei
Dardanelli con i suoi 2023 metri. Realizzabile, ma la probabilità che possa crollare avrebbe valori non trascurabili. Si è arrivati gradualmente a quelle
lunghezze, mentre il salto richiesto ora sarebbe di altri 1300 metri. Ora
sappiamo che anche la “natura non facit saltus”. Per cercare di capire questo
occorre chiarire alcuni aspetti, alquanto complicati, ancorché interessanti, che
cercherò di esporre brevemente in modo generico ma accessibile.
La
progettazione di una struttura o, più in generale, di un organismo complesso,
incontra, mano a mano che si aumenta la complessità (o l’arditezza) fenomeni
non fisicamente determinabili perché si passa dal campo “lineare” al campo “dei
fenomeni “non lineari”. Lineare è quando all’aumentare delle cause, gli effetti
aumentano in modo proporzionale. Se raddoppio le forze le sollecitazioni
raddoppiano, se le triplico, queste ultime triplicano e così via. Ma fino ad un
certo punto, quello in cui questa dipendenza diventa “non lineare”. Mentre nel
primo caso sono assistito dalle leggi fisiche e da tutto il corpo delle
trattazioni ingegneristiche, nel secondo caso, molto spesso, entro in una zona
grigia dove non c’è più una dipendenza stretta tra le causa e gli effetti, e
dove gli effetti non sono determinabili matematicamente. Tipico di questa zona
grigia è appunto il comportamento delle strutture sotto l’azione del vento.
Quando si entra in questo campo “non lineare” si entra anche in una zona “instabile”
dove addirittura gli effetti amplificano le cause fino alla catastrofe. Ai
primordi dell’aviazione, fino agli anni ’30, molti aerei sono caduti per un
fenomeno aerodinamico chiamato “flutter”. In pratica l’azione dell’aria sulle
ali provoca, naturalmente, la loro oscillazione; può accadere che questa
oscillazione vada ad amplificare sempre più le forze che l’aria trasmette alle
ali, fino al cedimento catastrofico. Lo stesso fenomeno, o analogo, si è
verificato su alcuni dei primi ponti sospesi costruiti. Uno di questi, il più
famoso, è il ponte di Tacoma Narrows, nello stato di Washington, precipitato
sotto l’azione del vento, dopo paurose oscillazioni, nel 1940.
È vero, oggi
si fanno le prove su modelli in scala, in galleria del vento, come sicuramente
sono stati fatti per il ponte sullo Stretto. C’è un problema però; non sempre i
risultati ottenuti sui modelli in scala, soprattutto in campo aerodinamico, (in
questo caso un rapporto di scala molto piccolo di circa 1 a 1000) possono
essere riportati al vero, al ponte effettivo. E questo per i motivi sopra
esposti, proprio perché quella è la zona grigia dei fenomeni turbolenti, non
lineari. Quella stessa zona grigia in cui non è possibile definire, con una
certa approssimazione, la probabilità che il ponte finito non subisca eventi
catastrofici, quindi, per un il principio di precauzione, oggi disatteso (ma
quando ci sono interessi economici così forti si disattende tutto), questa
probabilità non può essere considerata trascurabile. È curioso, ma neanche
tanto, che in altri campi, come quello della sicurezza delle macchine, le norme
prevedano di progettare sistemi di sicurezza con livelli di probabilità di
guasto estremamente bassi, dell’ordine di 1 su un miliardo. E parliamo di un
eventuale danno molto limitato, per il numero esiguo di persone coinvolte. Nel
caso del ponte il danno sarebbe enorme, sia in termini di vite umane sia in
termini economici. Quindi avremmo una probabilità di crollo significativa e un
danno molto alto. Chi si occupa di “analisi del rischio” sa perfettamente che
questo vuol dire (probabilità non trascurabile, danno elevatissimo) un livello
di RISCHIO RILEVANTE. Questo è il motivo per cui eviterei di stare sotto ad una
grande “tensostruttura” (quelle robe mostruose degli “archistar” per
intenderci…) in una giornata di forte vento o non abiterei volentieri nelle
vicinanze di una Centrale Nucleare. Ormai siamo abituati, in particolare negli
ultimi cinque anni, a considerare come “danno minore” o inesistente la perdita
di vite umane, soprattutto quando queste vengono sacrificate sull’altare del
“progresso”, mentre ci strappiamo i capelli a vedere un istrice schiacciato da
un auto.
E questo è
solo un aspetto del problema, poi ci sono i terremoti, la “fatica” dei
materiali (altro fenomeno “grigio” molto grigio, vedi il ponte Morandi…
soprattutto quando i margini di sicurezza si riducono) e diversi altri.
Un bravo
progettista sa fermarsi prima. I Romani sapevano che il Pont Du Gard, in
Provenza, a tre arcate sovrapposte, era la struttura più alta realizzabile in
mattoni, come pure i costruttori della meravigliosa cattedrale di Chartre erano
perfettamente consapevoli di realizzare il massimo possibile con quei materiali.
Il grande Bernini andò oltre nel disegno ed esecuzione dei campanili che
avrebbero dovuto affiancare la facciata della basilica di San Pietro. Davanti
al papa, il suo grande rivale Borromini, ebbe facile gioco a rinfacciare la colpa
del loro dissesto, tale da proporne la demolizione, a Bernini stesso che li
aveva progettati troppo alti e pesanti per le fondazioni già realizzate. Lo
stesso Michelangelo andò oltre nel disegnare la cupola di San Pietro con
profilo troppo schiacciato e quindi spingente, poi rialzato da Giacomo Della
Porta.
Si dirà che
non si possono fare confronti con il passato perché oggi abbiamo strumenti di
progettazione infinitamente più evoluti. È vero, ma sempre fino a quel limite,
oltre il quale conta l’intuito e il buon senso, in una parola, l’arte del
progettista. Per rendersene conto suggerisco di entrare, se non lo si è mai
fatto (anche se oggi è a pagamento, no comment…) all’interno del Pantheon e
ammirare la meravigliosa cupola che sta lì da duemila anni.
Si dirà che
“così il progresso non va avanti !”. Certo che il progresso deve andare avanti,
ma a misura dell’uomo, non di quello che l’uomo pensa di essere diventato,
anche se non lo sarà mai.
Eiffel, che
lavorava con l’acciaio, si è fermato prima; Antonelli, che lavorava con i
mattoni, si è fermato dopo. La Mole Antonelliana di Torino, completata in piena
Belle Epoque nel 1889 – per inciso, a mio modestissimo parere, il periodo più
“scemo” della Storia moderna, almeno fino agli anni ‘60… - lo stesso anno in
cui fu inaugurata la Tour Eiffel, era l’edificio in muratura più alto al mondo.
Questa torre, con in cima la stella a 5 punte… (!??), inutile come quella
parigina, fu realizzata per celebrare l’uomo Dio, chissà per volere di chi !?,
Forse di quegli stessi che avevano patrocinato l’Unità ? Allora magari si
tratta del monumento alla “strage del sud” su cui, proprio in quegli anni, si posava
la pietra tombale con la scritta menzognera “vittoria sul brigantaggio”. E
questa non è un’altra storia, la nostra è solo la continuazione
incruenta ma estremamente fruttuosa di quella.
La mole sta
in piedi grazie agli interventi cospicui di rinforzo eseguiti dall’ing. Pozzo e
altri collaboratori nel 1931. Ma il Principe vuole sempre soddisfazione. Ora,
all’interno di quella poderosa struttura in cemento armato, che sostiene il
peso della mole evitando che crolli rovinosamente, è organizzato il museo del cinema, dentro al
quale si accede passando sotto, quasi un rito di sottomissione, alla grande
statua di Moloch. Appunto, la natura che si riprende il caos.
Claudio
Gazzoli, ingegnere.
Il mio primo
intervento aggiornato:
fragmenta di claudio gazzoli: IL PONTE SULLO
STRETTO DI MESSINA