Qualche giorno fa il vescovo di Roma, parlando ai giovani candidati gesuiti, ha così esordito:
“Buongiorno. Sono contento di accogliervi. Grazie tante di questa visita, mi fa bene. Quando io ero studente, quando si doveva andare dal Generale, e quando con il Generale dovevamo andare dal Papa, si portava la talare e il mantello. Vedo che questa moda non c’è più, grazie a Dio”.
Sull'argomento avevo scritto il seguente commento:
ritorno sull’argomento dell’abito, perché non è facile da mandar giù. Per il vescovo di Roma indossare la talare è una questione di “moda” del momento. Anche se sono certo che non è “farina del suo sacco”, ma di un sacco molto più rovente, comunque vale la pena di commentare, visto che ne va di mezzo la credibilità di qualcuno, nella Chiesa, ormai in netta minoranza, che invece non ha perso la testa…
Recentemente, arrivando con mia moglie ad un incontro di catechesi a cui eravamo stati “premurosamente” invitati, siamo stati accolti da un tale sui 35, in jeans e giubbotto di pelle, che, per tutta la serata ha fatto interventi, secondo lui, spiritosi, da teatrino improvvisato in serata di addio al celibato… Ad un certo punto, mentre mi arrovellavo sul tema: “.. questo che vole…!!”, chiedo a mia moglie “ma questo …………. chi è….!!??”, lei, tirandomi un calcio da sotto la sedia “..schhhh…. quello è un prete!!..” “ahhhh…. non s’era capito !!”.
Ci hanno abbindolato con i luoghi comuni, da fila interminabile del supermercato, del tipo “non è l’abito che fa il monaco…”… solo che i proverbi, che derivano da un deposito di saggezza popolare, vanno bene per i periodi normali. Questo non è un periodo normale… quindi possiamo tranquillamente affermare che “È L’ABITO CHE FA IL MONACO”.
A caldo, sono andato a rintracciare un paio di citazioni, di cui la prima, mi sorprende un po’ visto da dove viene… Non sarà che il periodo che stiamo vivendo è talmente “fuori controllo” che sorprende persino i più insospettabili aconfessionali…
Dal Corriere della Sera del 17 febbraio 2013:
“dietro il rifiuto dell’abito religioso vi è una teologia, vi è la negazione protestante di un sacerdozio «sacrale», che distingua il prete dal credente comune; vi è il rigetto della prospettiva cattolica che, col sacramento dell’ordine, rende un battezzato «diverso», «a parte». Il sacerdote non come testimone del Sacro, non come «atleta di Dio» (l’immagine è di san Paolo) in lotta per la salvezza dell’anima propria e dei fratelli contro le Potenze del male, bensì uomo come gli altri, distinto semmai solo dal maggiore impegno sociopolitico….”
La seconda da un intervento di Don Roberto Gulino, docente di Teologia:
“La questione sull’abbigliamento del sacerdote trova risposta anche nel recente intervento di Papa Benedetto XVI alla riunione plenaria della Congregazione per il Clero avvenuta lo scorso 16 marzo (ne riportava notizia anche l’ultimo numero di Toscana Oggi, del 29 marzo, a pag IV, nella rubrica «La parola del Papa»); il Santo Padre, dopo aver richiamato le dimensioni principali e fondative del ministero presbiterale, conclude con le seguenti parole: «Urgente appare anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali, sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore dell’annuncio cristiano». Si noti bene la scansione, come dei cerchi concentrici, che riguarda prima di tutto la dimensione essenziale ed esistenziale della fede, poi quella dell’atteggiamento concreto nella vita, ed infine l’aspetto di riconoscibilità che può esser dato anche esteriormente dall’abbigliamento.
………….
Perché allora, anche nel ministero sacerdotale, non provare ad «essere» ed «apparire»? Ripeto: non solo apparire, ma «essere-ed-apparire»; non per lo scopo di farsi vedere e ricevere l’applauso dalla gente (avremmo già ricevuto la nostra ricompensa!), ma per comunicare ed annunciare che abbiamo incontrato il Signore, che Lui ci ha chiamato e che noi proviamo a seguirlo nelle nostre povertà.
Del resto penso sia questo lo spirito che spinge un tifoso della Fiorentina (mi si passi l’esempio calcistico) a portare con orgoglio la sciarpa viola o la maglietta del suo calciatore preferito, per far vedere a tutti che la sua squadra del cuore è quella e non un’altra.
In questa dimensione della testimonianza si possono comprendere le parole del Direttorio per la vita dei presbiteri che al numero 66 dice: «Il presbitero deve essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire, in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo, la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa». Il testo del Direttorio continua riportando il canone 284 del Codice di Diritto Canonico: «I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e le legittime consuetudini del luogo». Per quanto riguarda la nostra Conferenza Episcopale Italiana, il 23 novembre 1983 è stata emanata la seguente norma, in vigore dal 23 gennaio 1984: «Salve le prescrizioni per le celebrazioni liturgiche, il clero in pubblico deve indossare l’abito talare o il clergyman».
Quindi, non è proprio una questiona lasciata alla libera scelta del singolo sacerdote.”
SIC TRANSIT GLORIA MUNDI…
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