L’inizio della Settimana Santa, con la Domenica delle Palme, significava, per il mio paese e certamente per tutti gli altri, entrare nella Passione di Nostro Signore con uno spirito insolito, una temporanea, inconsapevole mutazione dei pensieri, dei suoni, una direzione univoca del nostro vivere quotidiano, del nostro sentire, verso l’altare e quindi il Calvario della chiesa dove si sarebbero svolti i riti che riproponevano in modo simbolico, ma reale nella loro drammaticità, la Passione.
A partire dal Giovedì Santo persino l’aria mutava, perché una cappa, impalpabile ma opprimente, sovrastava le normali attività rendendo afoni i rumori, le voci, per la partecipazione delle persone pie e per quella inconsapevole ma dovuta dei più recalcitranti come me. Un silenzio anomalo avvolgeva le cose e le persone rotto soltanto dal suono secco e stonato della “scannala”* che annunciava l’inizio dei riti liturgici per le strade del paese. La “scannala” ci rievocava la totale perdita dell’armonia, simboleggiata dalle campane legate, nei suoni, nelle occupazioni, nella natura intera, nella nostra vita, per l’abbandono di Dio che la nostra indifferenza aveva crudelmente provocato.
Ricordo lo sviluppo tragico della liturgia del Giovedì, la lentezza dolorosa, la tensione penosa che si scioglieva nel Pange Lingua finale e nella successiva spoliazione dell’altare scanditi dal rigore, dalla riverenza nobilissima della lingua del rito antico.
Poi il Venerdì Santo con le intercessioni essenziali, senza sentimentalismi capziosi o diversivi politico-sociologici, di cui ricordo ancora l’intercalare ripetuto “Oremus, Flectamus Genua, Levate”, nel tono lamentoso di noi colpevoli che neanche lontanamente possiamo osare della dignità dolorosa ma sublime di Maria sotto la Croce.
Ora tutto è una parentesi effimera tra montagne di colombe, uova sgargianti di tutti i colori, da simboli a contenuto vero, finzione, teatrino dell’idolatria più sfrenata, intenzionalmente orchestrata.
* la "scannala" era una tavola con un manico provvista di due maniglie di ferro, libere di ruotare attorno alle loro cerniere fino a percuotere un bottone, sempre di ferro, che veniva fatta ruotare producendo un suono metallico e stonato percorrendo le vie del paese per annunciare l'inizio delle cerimonie, in sostituzione delle campane.
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