martedì 10 agosto 2021

LA SAGRA DELLA LIBERTÀ


"Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto" Esodo 32,8.


Non sono solo calamità le circostanze provocate da questa “pandemia”. Il 2020 è stato indubbiamente un “annus terribilis”, dai cortei di camion militari di Bergamo, alle catastrofiche previsioni delle varie imbonitrici telecassandra, alle miserabili condotte di tutto l’apparato della Chiesa. Ma non tutto è stato così rovinoso. Per quanto mi riguarda la sospensione delle “sagre” paesane è stata provvidenziale, se non addirittura propizia. Ora sono ricominciate alla grande.
Questa invenzione degli anni ’60, gli anni del boom economico, ha avuto una evoluzione verso forme che nulla hanno a che vedere con la “tradizione”, ammesso che esista ancora una TRADIZIONE.
"Panem et circenses" in un colpo solo, in totale ossequio e sottomissione ai disegni del Grande Architetto.
Solo pochi anni prima sarebbe stato impensabile fare una festa dedicata alle “tagliatelle al ragù” perché le tagliatelle al ragù costituivano il primo piatto del giorno di festa dedicata al Signore. Il valore sacro del cibo era legato intimamente alla sua “scarsità” e per questo gradito a Dio. Era il rapporto stretto tra “fatica” e cibo che lo rendeva “sacro”. Ora il cibo, almeno in una parte del mondo, è una risorsa illimitata sulla quale si possono organizzare simposi, proporre graduatorie, programmare una sciame di trasmissioni televisive, nell’unica redditizia finalità del piacere fine a sé stesso.
Quando ero bambino, almeno ancora nei paesi delle mie parti, ogni festa popolare era una festa religiosa che prevedeva la parte liturgica e la parte festosa, ma quest’ultima non era mai disgiunta dalla prima. La banda musicale accompagnava la processione e poi teneva il concerto, i fuochi d’artificio chiudevano la festa e celavano un omaggio al Santo Patrono, mentre la chiesa restava aperta per tutta la sera per consentire ai fedeli di onorare le reliquie del Santo. L’unica eccezione, ma solo apparentemente, era il carnevale. Ma in effetti, a parte gli ambienti della borghesia cittadina, anche il carnevale non era altro che il contraltare della festa religiosa, quasi che la trasgressione potesse rendere più consapevole il pentimento e la maschera, al di sotto della quale si dissimulava il lato oscuro della nostra coscienza, più manifesta l’intenzione purificatrice della cenere dell’inizio di Quaresima.
Le nostre gustose castagnole, le frappe e la cicerchiata, cibo prezioso perché fatto di ingredienti non illimitati, stavano a ricordare il termine del piacere prima dei quaranta giorni di astinenza.
La stretta dipendenza con la ricorrenza religiosa impediva che la festa degenerasse in festino. Impediva che la festa diventasse una esaltazione materiale e metaforica di tutti i desideri della carne, facendone una sacrilega rappresentazione.
Ma visto che la parola “sagra” deriva da “sacro” e, originariamente, era usata ad indicare una “Festa, celebrazione religiosa in occasione della consacrazione di una chiesa, di un altare o di una immagine religiosa (dal voc. Treccani)”, se la vera libertà è la sottomissione esclusiva a Dio, a tutti i suoi comandi e l’affrancamento da tutte le insolenze del mondo, allora l’unica sagra a cui bisognerebbe partecipare in massa, qualora venisse finalmente organizzata, è quella della libertà.

Claudio Gazzoli – Monterubbiano (FM)







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