C’è una sequenza,
nel film del 1939 “LA REGOLA DEL GIOCO” del regista Jean Renoir, in cui
uno dei protagonisti lamenta: “vorrei sparire nell’abisso di un pozzo per
non dover più scegliere tra bene e male”. Di lì a poco il baratro della
guerra trascinerà l’Europa, insieme al mondo, nell’abisso più tenebroso, nella
dissoluzione del bene e del male, da cui sarebbe poi risalita, ma solo per la
parte “corporale”, mentre l’anima, individuale e collettiva, avrebbe continuato
a sprofondare nell’oscurità in cui “tutte le vacche sono nere”, nella
liquefazione di ogni differenza. Nel
film che, nella spietata rappresentazione della borghesia, racconta il crollo dei valori di un’intera
società, soccombe chi non obbedisce alla “regola del gioco”, l’IPOCRISIA,
che ignora ogni parvenza di regola morale. Dal dopoguerra, i mezzi di
comunicazione di massa, con la parte rilevante della televisione, hanno
omologato tutta la popolazione al pensiero unico borghese-liberal-positivista, assimilando
a poco a poco anche la parte più retriva, tenacemente legata alla tradizione.
Paradossalmente il contributo maggiore a questa liquefazione della morale è
stato fornito dalla Chiesa Cattolica che ha fatto sparire, nella prassi o
“pastorale”, ogni segno di OBBEDIENZA alla Legge di Dio, contaminando il sacro
con il profano, per instaurare la totale sottomissione alla “casta illuminata”
che occupa il potere.
Per formare un organismo
completamente servile non basta il martellamento mediatico da parte di un
sistema informativo, ormai completamente asservito ai padroni del mondo, al
punto che diventa persino banale evidenziarlo. Occorre demolire ogni forma di
OBBEDIENZA alla dottrina immutabile della Chiesa Cattolica, anche da parte
degli ultimi superstiti.
La DISUBBIDIENZA
si attua in due fasi distinte, la formalizzazione della disubbidienza medesima,
mediante pratiche più o meno palesi di induzione, e la sua contestuale
certificazione.
Negli ultimi
sessanta anni nella Chiesa Cattolica le forme di disubbidienza alla Legge
Divina, alla Tradizione, alla Dottrina Morale, alla custodia del deposito
eccelso lasciato dal Fondatore sono
innumerevoli, con una accelerazione fortissima negli ultimi anni. Così vale per
la demolizione della Liturgia, la banalizzazione dei Misteri della Fede, la
costante incoerenza, introdotta nella prassi, verso i principi del Catechismo, fino ad arrivare alla inverosimile, inaudita disubbidienza verso il primo dei
Comandamenti di Dio, nell’idolatria più sfrontata, consumata e mai sconfessata, sul soglio di
Pietro il 17 ottobre del 2019, a pochi mesi dall’insorgere di questa che
chiamano pandemia, che ora la chiesa, non casualmente, invita a contrastare con
un’altra clamorosa disubbidienza, mascherata da un ipocrita senso
di responsabilità.
Tra le forme di
induzione, da non considerare marginale, perché parte del piano, vi è la recita
del nuovo Padre Nostro della messa. Prima si continua a recitare “preghiamo
insieme come Nostro Signore ci ha insegnato” poi si recita come Gesù non ci
ha insegnato. Ma questi non sono stupidi, sanno benissimo che quella non è
la preghiera recitata da Gesù. Vogliono intenzionalmente creare una discrasia, mediante
la “regola del gioco” dell’ipocrisia, una disubbidienza che mantenga fertile il
terreno in cui il popolo dei fedeli viene sistematicamente trasformato. E
questo in modo lento, inesorabile, come hanno fatto negli ultimi 60 anni ed ora
in modo più manifesto, anzi arrogante. Solo che, nonostante i loro faccioni
sempre sguaiati, di un riso fasullo e forzato, la religione non è un gioco
perché non è un gioco la Croce. Non più
fedeli agli insegnamenti di Gesù, ma seguaci degli insegnamenti del mondo.
Ora non solo
l’uomo si avvale della propria libertà decidendo autonomamente che cosa è bene
e che cosa è male, pure capovolgendolo, rigettando la legge morale che viene da
Dio, anzi negando ogni separazione, ma continua a mangiare i frutti di quell’albero
della conoscenza, posto al centro del Giardino, equiparandosi a Dio o
soppiantandolo. Questa pervicacia, che proviene dalla propria divinizzazione, è
il prolungamento del Peccato Originale. Ma ciò all’uomo di oggi non basta. Egli
sta, per la prima volta, dalla cacciata dal Paradiso Terrestre, profanando,
anche se in modo simbolico ma non meno autodistruttivo, l’albero della vita,
rifiutando i suoi frutti perché si è costruito, apparentemente con le proprie
mani, abusando del proprio ingegno che gli viene da Dio, frutti “creati
in laboratorio”, che superbamente considera migliori di quelli, senza
sapere che, così facendo, sta adulando la morte eterna, come il serpente
provocatore gli suggerisce. Una delle attestazioni di tale profanazione, pretesi
in permuta dal serpente come vittime sacrificali sull’altare della morte innalzato sul tronco tagliato dell’albero della vita, sono i cinquanta milioni
di bambini non nati ogni anno, barbaramente squartati prima della nascita. È la
certificazione, così gli viene richiesto, della seconda grande disobbedienza. La
profanazione immateriale dell’albero della vita, in questa deriva
malefica, sostenuta o non duramente combattuta, in una antinomia sconcertante,
dai vertici della chiesa, può essere considerata il “nuovo Peccato Originale”.
Una chiesa che
disubbidisce alla legge di Dio e antepone, di gran lunga, alla tensione
spirituale, i bisogni corporali, tutti, quelli alimentari, sanitari e soprattutto
quelli sessuali, di tutte le specie, arrivando persino a porre dubbi sull’elemento
base della convivenza cristiana, la famiglia, accetta fatalmente la regola del gioco del serpente antico.
Claudio Gazzoli
– Monterubbbiano (FM)
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