Mio nonno materno ha passato 3 anni in trincea, nella prima guerra, ricevendo anche un attestato di elogio. Mio padre ha dedicato alla “patria” i migliori anni della sua vita, prima in guerra poi in una lunga prigionia in Sud Africa, uno degli ultimi contingenti ad essere liberati. Noi bambini degli anni cinquanta siamo cresciuti con il senso della patria, a partire dalla scuola, con le poesie di soggetto patriottico imparate a memoria, le canzoni, gli inni, le parate del 4 novembre e della colonia estiva, con la bandiera nazionale che ci contendevamo a portarla. Ma ora, davanti a questo sfacelo, a questa dissoluzione delle nostre radici, della nostra cultura popolare, dei principi fondanti della nostra civiltà, della comune sottomissione a Dio, dei nostri confini, del senso stesso della nostra italianità liquefatta nel brodo rivoltante della “fratellanza” imposta perché funzionale al progetto di annientamento, dello spianamento delle diversità quali sorgenti primarie della nostra evoluzione; davanti ad una classe politica indecente che non si degna di biasimare, a partire dal grado più alto, un “ministro degli esteri” che si permette di rivolgere parole insensate, disgustose, ingiuriose, inopportune nei confronti del capo di stato di una grande nazione, irresponsabile al punto da mettere al rischio la vita stessa di milioni di persone, annientando millenni di civiltà diplomatica che noi abbiamo insegnato al mondo, prima con Roma poi con Venezia, quando nessun romano si sarebbe rivolto in quel modo ad Annibale, suo più grande nemico, neanche quando intravedevano il suo accampamento “ad portas”, davanti a tutta la presente trivialità e miseria morale di un popolo irriconoscibile, mi vergogno di essere italiano.
Claudio Gazzoli
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