Lo avevo già notato a Monterubbiano, poi ieri ne ho avuto conferma a San Francesco a Fermo. Il sacerdote non “eleva” l’Ostia e il Calice dopo la consacrazione ma li “presenta” portando le braccia in avanti, non in alto. Pensavo fosse una libera alterazione, come tante altre del resto. Invece il sacerdote non fa altro che applicare le disposizioni del Messale Romano Terza Edizione, quella con i disegni massonici per intenderci, laddove dice di “presentare” al popolo l’ostia consacrata. Il Messale di San Pio V della Messa Tridentina dice invece: “Il celebrante innalza l’Ostia santa”. I significati della elevazione dell’ostia e del calice sono diversi ma i più importanti sono la “contemplazione adorante” da parte del popolo e il richiamo alla dimensione sacrificale della Messa, a convalida della “Presenza Reale” delle due specie. È curioso, ma non più di tanto dato lo stato confusionale grave della Chiesa visibile, che questi significati siano ripresi da un articolo pubblicato sul sito del Vaticano a cura di Don Mauro Gagliardi, “L’elevazione dell’Ostia e del Calice alla consacrazione eucaristica”:
“Lungi dal rappresentare una degenerazione della fede eucaristica, l’elevazione dell’Ostia e del Calice consacrati fu un vero progresso nella storia della Celebrazione eucaristica, progresso che va salvaguardato e valorizzato mediante l’opportuna catechesi liturgica e il modo corretto di compiere il gesto da parte dei sacerdoti. D’altro canto, sarebbe incomprensibile ai nostri giorni opporsi ad una pratica che permette ai fedeli una maggiore partecipazione attiva ai sacri riti.”
Già Sant’Agostino aveva detto: «nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo”».
Al di là del significato simbolico fondamentale dell’elevazione, si dirà che in questo modo posso adorarla ugualmente. Sì ma non elevando lo sguardo al Cielo ma traguardando la faccia del prete…
C’è una differenza enorme, quasi infinita, tra la presentazione e l’elevazione, la stessa differenza infinita che passa tra la terra e il Cielo, la stessa differenza infinita che passa tra la chiesa protestante e la vera Chiesa Cattolica.
P.S.
Questa sera, alla messa di San Francesco a Fermo, il vescovo Rocco Pennacchio, nel corso dei 75 secondi dedicati alla Consacrazione, ha fatto la presentazione, con una sola mano, dell'Ostia e del Calice, non l'elevazione.
LA MESSA DEL VESCOVO
Quando ero bambino la Messa celebrata dall’Arcivescovo era una festa, nell’apparato, nella liturgia, nei paramenti, nei canti, nella direzione univoca della cerimonia. Era la lode a Dio per la sua nuova venuta, la volontà di onorarLo al massimo grado e in modo antitetico rispetto ai volgari astanti che lo deridevano lungo la salita del Calvario. Ora la Messa dell’arcivescovo non fa che riproporre le medesime sciatterie delle Messe a cui assistiamo regolarmente, tra canti suadenti, stonati a ritmo lento da balera anni sessanta. I tre quarti del tempo dedicati alla “liturgia della parola”, un tempo prolisso, a volte enfatico, altre sciatto, un’omelia quasi mai pertinente che non tocca l’anima, non ci mette davanti alle nostre miserie, non ci ammonisce ed invece ci blandisce con i facili buonismi di tendenza, peraltro molto teorici, anche da parte di chi li propone. Poi, dopo una frettolosa Consacrazione, vanificante il mistero della sospensione del tempo e dello spazio così come ci è stato donato, presenziata da un’assemblea diligentemente in piedi e la recita della nuova preghiera zuccherata, l’esibizione del ministro o della ministra straordinari, di cui peraltro non ci sarebbe affatto bisogno, che distribuiscono l’Eucarestia come i cioccolatini ai bambini della colonia. A volte penso di dover prendere queste Messe come un sacrificio, come un dono da offrire al Signore. Ma non è la tragedia immane della salita sul Calvario, e la tragedia è infinitamente più dignitosa della farsa.
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