mercoledì 4 aprile 2018

lettera aperta a Padre Raniero Cantalamessa


Può essere utile per capire meglio il clima che stiamo vivendo nella Chiesa. Mia moglie ed io avevamo deciso di partecipare, la settimana successiva alla Pasqua, a quattro giorni di catechesi, tenuti da Padre Raniero Cantalamessa, sul seguente tema: “Cristo, nostra Pasqua è stato Immolato. Il Mistero Pasquale meditato e vissuto”. Avevamo la speranza, di incontrare, di chiarire, di comunicare, di illuminare… Non siamo riusciti a parlare con il relatore, nessuno dei presenti ci è riuscito, si è tolto, sistematicamente, dalla nostra premura, con sperimentata abilità, disponendo attorno alla propria persona una barriera altera e invalicabile. Il tema è stato trattato, come è ovvio, dal predicatore della Casa Pontificia, in modo elevato. L’ultimo giorno l’argomento è sembrato fuori tema… poi abbiamo capito: la “giustificazione per fede”, della lettera ai Romani, ha introdotto il tema della "giustificazione" di Lutero, in occasione dei 500 anni, e tutta la serie delle attuali “giustificazioni” della Chiesa.


«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25-27)

Chi sarà, con P. Cantalamessa, il religioso prostrato, "benedetto" al convegno evangelico ?
Reverendo padre Raniero Cantalamessa,
avrei voluto proporle, se solo me lo avesse consentito, queste brevi riflessioni….
Sono solo uno che cerca di percorrere la strada, non facile, del discernimento… è per questo che mi trovo qui. Ma sento di aver fatto un errore, provocato dal potere enorme che la televisione ha nella nostra vita, anche quando, come nel mio caso, si fa del tutto per esserne fuori. Non abbiamo la percezione del potere della dissimulazione mediatica che ci costringe a vivere nel mondo ingannevole e affabulatorio, conforme allo “spirito del tempo”. Ho seguito sempre, negli ultimi 4 anni di messa in onda, anche ricorrendo alla registrazione, le sue catechesi del sabato pomeriggio. Così siamo venuti, mia moglie ed io, con fervore, a questi incontri di meditazione. Ho voluto partecipare, soprattutto, perché mi permettevo di considerarmi un suo amico, come faceva supporre la sua costante esclamazione “carissimi amici” e il suo sorriso che io, spettatore ingenuo, ritenevo rivolto a me stesso.
Sono venuto, pertanto, non per il “personaggio”, ma per la persona che supponevo di incontrare. Non l’avrei molestata con domande capziose, con l’unico scopo di assecondare la mia patetica vanagloria. Avrei solo cercato un contatto, uno sguardo, una presenza che potesse condurre nel profondo, oltre il compiacimento della mente, persino oltre il cuore, quelle riflessioni sul fine ultimo ed unico del nostro essere. Così non è stato. Beninteso, il tema è stato da lei trattato, come ovviamente ci si aspettava, in modo altissimo, semplice ed erudito. Ci ha accompagnato, malgrado le sue personali difficoltà, in un percorso avvincente e sommamente rigoroso, attraverso il Mistero fondamentale della Passione. Ha condotto con mano la nostra mente a percepire una parte minima, ma grande, di quello che lei conosce. Ci ha fatto ascoltare, per quello che possiamo con i nostri sensi, l’eco lontana, lieve, impercettibile del soffio dello Spirito. Solo su alcuni punti, che non riguardano direttamente la Dottrina della Chiesa, ma più la sua Politica, soprattutto con riferimento alla ricorrenza dei 500 anni, dove peraltro è lecito avere le proprie opinioni, mi sono potuto concedere di non essere d’accordo. Ciononostante mi permetto di dirle che mi aspettavo di più. Ma non c’è stato il tempo né l’opportunità.
Mi ha sempre commosso Gesù che, invece di affrettarsi a fuggire da chi cerca di lapidarlo, si sofferma con un cieco, vicino alla piscina di Siloe, per ridare a lui la luce. È quella Luce che noi vorremmo guardare, inconfondibile, tra mille altre luci che il mondo ogni giorno accende in un bagliore artificiale che deve rendere tutto uguale. Forse se lei avesse dato meno spazio al “personaggio”, senza consentire ad alcuno di farle capire che avrebbe voluto solo avvicinarla come persona. Forse se lei non avesse dovuto affrettarsi ad uscire dalla sala per raggiungere, da solo, l’ascensore. Forse se non avesse dovuto finire in fretta il suo pasto per lasciare la sala mensa e raggiungere il suo telefono, nascosto ma rumoroso, avrebbe avuto più tempo per guardarsi intorno, incontrare, ascoltare, senza parlare, confrontarsi con persone in ricerca, con tutte le suore che si sono prodigate, in questi tre giorni, per rendere gioiosa, come è giusto che sia, l’esposizione della Verità, che hanno dovuto accettare, con rispetto, l’umiliazione per un programma improvvisamente cambiato, che hanno messo grande cura e decoro in ogni più piccola attività, che hanno accolto ogni goccia dell’acqua che lei ha dispensato. Proprio cento anni fa’, a tre piccoli pastori, cattolici romani, che di decoroso indossavano solo l’umiltà, che conoscevano solo qualche decina di parole del loro dialetto, senza saperle né leggere né scrivere, è stato fatto il grandioso dono di guardare quello che tutte le intelligenze terrene unite non potrebbero neanche lontanamente immaginare. Questa è la vera, grande ricorrenza, dove non c’è da dimostrare niente, semmai da guardare più a fondo, dove non servono sofisticati compromessi per far quadrare tesi indimostrabili.
Inoltre se avesse guardato con più attenzione avrebbe potuto notare, tra le persone, “disperse nei pensieri del loro cuore”, me compreso, (e del loro smartphone), una suora minuta il cui nome, Leonia, non corrisponde certo, ma solo apparentemente, al suo temperamento e, tuttavia, affabile e premurosa, con una voce sottile perché il cuore non proclama. Avrebbe potuto ascoltare, senza parlare, i suoi racconti, le sue semplici esortazioni, la sua genuina saggezza che le viene da una vita passata a contatto con gli ultimi, quelli veri, quelli che siamo soliti non solo ignorare ma anche giudicare. Avrebbe potuto osservare la luce particolare che emana dal suo sguardo, dai suoi occhi, la pacatezza unita alla serenità dello spirito, il vestito smagliante dell’umiltà, l’ascolto attento, la premura nel dispensare consigli semplici ma pieni di Parola. Avrebbe potuto ammirare la sua fede antica, senza compromessi, come quella delle donne anziane di paese della mia infanzia, come quella delle donne che hanno condiviso la Passione, non la sua fede razionale, ma tutta la sua persona che la giustifica davanti a Dio.
È un vero peccato (ma è solo un modo di dire...) che lei non abbia avuto questa opportunità, perché dietro allo sguardo timido e discreto di Suor Leonia, tra le pieghe dell’abito, che poi è anche il suo, tra le parole lievi pronunciate nella sua originale cadenza, avrebbe potuto scorgere, con gli occhi del cuore, questa volta oltre l’eco lontana dello Spirito, Gesù in persona.
Claudio Gazzoli - Monterubbiano (FM)

1 commento:

  1. Complimenti per il tatto, ma dovrei dire piuttosto "per l'impostazione", in quanto il tatto implica una alterazione nel presentare una questione, mentre io qui percepisco piuttosto una lettera aperta a cuore aperto, quindi, senza il sussistere di alterazione. Saluti e complimenti anche per il sito.

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