mercoledì 1 ottobre 2025

MERLUZZI

 



Viviamo tempi cupi. Penso che l’unico modo per non lasciarsi travolgere dallo tsunami sia aggrapparsi con tutte le forze al manto della nostra madre Maria. Per quanto mi riguarda questo vuol dire guardare in faccia la realtà, non avere cedimento alcuno verso il modernismo, in ogni sua forma, anche quella seducente ma ingannatrice, del “modernismo moderato”.
Non conosco altra strada se non quella, estenuante ma riconoscibile, perché segnata dal sangue dei martiri, di non dare alcuna approvazione alle seduzioni intellettuali e concrete della nostra vita quotidiana e della nostra vita di Cristiani, che poi è la stessa cosa; anche se alcune siamo costretti a subirle. Ma praticare è un conto, condividere è tutta un’altra cosa. Sono uscito indenne, non per mio merito, dalla devastazione provocata dai modernisti (questo termine comprende anche rivoluzionari, progressisti, comunisti, cattocomunisti, liberisti) mentre una folla sterminata di conoscenti, pure parenti ed ex amici, vi è confluita come merluzzi nella rete, destinati al grande acquario, appagati ed ignari, rimpinzati di mangime succulento, inondati di cose plasticose e variopinte, oggettivamente profane ma illusoriamente divine , con l’unico vincolo di non guardare mai indietro a rievocare il mare aperto.
A volte provo a sorprenderli, a trapassare l’occhio appannato di merluzzo, a bisbigliare cose che non finiscono, piano piano per evitare convulsioni, ma trovo più semplice spiegare al mio gatto il primo teorema di Euclide.





sabato 30 agosto 2025

IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA seconda parte: BREVI CONSIDERAZIONI SULLA FATTIBILITÀ DI ALCUNE GRANDI OPERE.

 

 

Faccio seguito al mio primo intervento sulla opportunità di procedere alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, cercando di esaminare maggiormente, per quanto è possibile, gli aspetti tecnici relativi alla sua fattibilità. Inoltre credo che in questa impresa si concentrino tutte le “virtù” di questo popolo, o meglio, di quello che è diventato o lo hanno fatto diventare.

Sento dire da più parti, sia in diretta che in “rete”, amenità di questo tenore: “oggi nulla è impossibile all’uomo”, “abbiamo ormai la tecnologia per raggiungere qualunque obiettivo” e, con riferimento al ponte: “i problemi tecnici sono tutti superabili” e, con una punta di inaspettato amor di patria “facciamo vedere al mondo che cosa sappiamo fare !”, poi, dulcis in fundo, la più comica di tutte “tanto ci penserà l’intelligenza artificiale !”.

Non più Prometeo che sottrae il fuoco agli Dei e lo consegna all’uomo, ma l’uomo stesso che, senza più vergogna, in modo ridicolo, prende il posto di Dio.

Quanto segue vuole essere solo un accenno alle ragioni tecniche per le quali, a mio modesto parere, quest’opera non deve essere eseguita, sebbene occorre ammettere che una parte consistente del ponte è già stata realizzata, anche se non si vede, visto che i costi salatissimi della progettazione vengono finanziati da oltre trent’anni. Farò solo un cenno alle cause prime, ma nessuno alle cause seconde, alle ragioni vere per le quali una parte consistente della “politica” è letteralmente elettrizzata, solo per non offendere l’intelligenza di chi legge.

Tra le forze che maggiormente agiscono su una struttura di queste dimensioni, il vento ha una parte importante; l’aerodinamica è la disciplina che ne studia gli effetti. John D. Anderson, nel suo libro “Aerodynamics”, un testo fondamentale per chi vuole cominciare ad occuparsi di aerodinamica, scrive, nell’incipit al capitolo sulla “turbolenza”, a cui peraltro dedica solo 20 pagine su un totale di 1098, con solo formule empiriche, proprio perché questo è un campo in cui le leggi fisiche sembrano essere latitanti:

La natura, quando è lasciata libera a sé stessa, va sempre verso lo stato di massimo disordine”.

Lo stato di disordine in cui non è possibile prevedere il comportamento della materia si chiama “caos”. Ho sempre pensato che Dio creò il regno di Adamo in modo ordinato perché da Lui governato. Con il Peccato Originale è come se Dio avesse lasciato la natura libera a sé stessa, precipitosa nel raggiungere lo stato di massimo disordine, di massima entropia. Nella vita di tutti i giorni siamo immersi in contesti che sembrano non rispondere a leggi deterministiche e che rientrano in questo disordine. Nessuno riuscirà mai a determinare con precisione in quale punto esatto del terreno andrà a cadere un fiocco di neve. L’uomo, con il suo ingegno, è riuscito a confinare il caos, ma solo localmente e non oltre certi limiti che, in alcuni casi, possono essere determinati.

Ma allora quali sono questi limiti ? È possibile costruire un ponte a campata unica tra Civitavecchia ed Olbia ? No, sicuramente no, siamo certi che non sarà mai possibile, per intuito, per quel naturale buon senso che stiamo strumentalmente perdendo, tipico delle generazioni che ci hanno preceduto. È possibile costruire un ponte sullo Stretto di Messina, con i suoi 3300 metri ? Ni. Ci sono limiti fisici facilmente determinabili; sono quelli legati alla resistenza del cavo di acciaio che deve sostenere il proprio peso e quello dell’impalcato sottostante. Con i materiali a disposizione supponiamo che questo limite sia 10.000 metri (sì ma poi c’è da considerare il margine di sicurezza); questo renderebbe realizzabile il ponte, ma con un margine di sicurezza alquanto inferiore a quello del ponte sospeso attualmente più lungo, quello dei Dardanelli con i suoi 2023 metri. Realizzabile, ma la probabilità che possa crollare avrebbe valori non trascurabili. Si è arrivati gradualmente a quelle lunghezze, mentre il salto richiesto ora sarebbe di altri 1300 metri. Ora sappiamo che anche la “natura non facit saltus”. Per cercare di capire questo occorre chiarire alcuni aspetti, alquanto complicati, ancorché interessanti, che cercherò di esporre brevemente in modo generico ma accessibile.

La progettazione di una struttura o, più in generale, di un organismo complesso, incontra, mano a mano che si aumenta la complessità (o l’arditezza) fenomeni non fisicamente determinabili perché si passa dal campo “lineare” al campo “dei fenomeni “non lineari”. Lineare è quando all’aumentare delle cause, gli effetti aumentano in modo proporzionale. Se raddoppio le forze le sollecitazioni raddoppiano, se le triplico, queste ultime triplicano e così via. Ma fino ad un certo punto, quello in cui questa dipendenza diventa “non lineare”. Mentre nel primo caso sono assistito dalle leggi fisiche e da tutto il corpo delle trattazioni ingegneristiche, nel secondo caso, molto spesso, entro in una zona grigia dove non c’è più una dipendenza stretta tra le causa e gli effetti, e dove gli effetti non sono determinabili matematicamente. Tipico di questa zona grigia è appunto il comportamento delle strutture sotto l’azione del vento. Quando si entra in questo campo “non lineare” si entra anche in una zona “instabile” dove addirittura gli effetti amplificano le cause fino alla catastrofe. Ai primordi dell’aviazione, fino agli anni ’30, molti aerei sono caduti per un fenomeno aerodinamico chiamato “flutter”. In pratica l’azione dell’aria sulle ali provoca, naturalmente, la loro oscillazione; può accadere che questa oscillazione vada ad amplificare sempre più le forze che l’aria trasmette alle ali, fino al cedimento catastrofico. Lo stesso fenomeno, o analogo, si è verificato su alcuni dei primi ponti sospesi costruiti. Uno di questi, il più famoso, è il ponte di Tacoma Narrows, nello stato di Washington, precipitato sotto l’azione del vento, dopo paurose oscillazioni, nel 1940.

È vero, oggi si fanno le prove su modelli in scala, in galleria del vento, come sicuramente sono stati fatti per il ponte sullo Stretto. C’è un problema però; non sempre i risultati ottenuti sui modelli in scala, soprattutto in campo aerodinamico, (in questo caso un rapporto di scala molto piccolo di circa 1 a 1000) possono essere riportati al vero, al ponte effettivo. E questo per i motivi sopra esposti, proprio perché quella è la zona grigia dei fenomeni turbolenti, non lineari. Quella stessa zona grigia in cui non è possibile definire, con una certa approssimazione, la probabilità che il ponte finito non subisca eventi catastrofici, quindi, per un il principio di precauzione, oggi disatteso (ma quando ci sono interessi economici così forti si disattende tutto), questa probabilità non può essere considerata trascurabile. È curioso, ma neanche tanto, che in altri campi, come quello della sicurezza delle macchine, le norme prevedano di progettare sistemi di sicurezza con livelli di probabilità di guasto estremamente bassi, dell’ordine di 1 su un miliardo. E parliamo di un eventuale danno molto limitato, per il numero esiguo di persone coinvolte. Nel caso del ponte il danno sarebbe enorme, sia in termini di vite umane sia in termini economici. Quindi avremmo una probabilità di crollo significativa e un danno molto alto. Chi si occupa di “analisi del rischio” sa perfettamente che questo vuol dire (probabilità non trascurabile, danno elevatissimo) un livello di RISCHIO RILEVANTE. Questo è il motivo per cui eviterei di stare sotto ad una grande “tensostruttura” (quelle robe mostruose degli “archistar” per intenderci…) in una giornata di forte vento o non abiterei volentieri nelle vicinanze di una Centrale Nucleare. Ormai siamo abituati, in particolare negli ultimi cinque anni, a considerare come “danno minore” o inesistente la perdita di vite umane, soprattutto quando queste vengono sacrificate sull’altare del “progresso”, mentre ci strappiamo i capelli a vedere un istrice schiacciato da un auto.

E questo è solo un aspetto del problema, poi ci sono i terremoti, la “fatica” dei materiali (altro fenomeno “grigio” molto grigio, vedi il ponte Morandi… soprattutto quando i margini di sicurezza si riducono)  e diversi altri.

Un bravo progettista sa fermarsi prima. I Romani sapevano che il Pont Du Gard, in Provenza, a tre arcate sovrapposte, era la struttura più alta realizzabile in mattoni, come pure i costruttori della meravigliosa cattedrale di Chartre erano perfettamente consapevoli di realizzare il massimo possibile con quei materiali. Il grande Bernini andò oltre nel disegno ed esecuzione dei campanili che avrebbero dovuto affiancare la facciata della basilica di San Pietro. Davanti al papa, il suo grande rivale Borromini, ebbe facile gioco a rinfacciare la colpa del loro dissesto, tale da proporne la demolizione, a Bernini stesso che li aveva progettati troppo alti e pesanti per le fondazioni già realizzate. Lo stesso Michelangelo andò oltre nel disegnare la cupola di San Pietro con profilo troppo schiacciato e quindi spingente, poi rialzato da Giacomo Della Porta.

Si dirà che non si possono fare confronti con il passato perché oggi abbiamo strumenti di progettazione infinitamente più evoluti. È vero, ma sempre fino a quel limite, oltre il quale conta l’intuito e il buon senso, in una parola, l’arte del progettista. Per rendersene conto suggerisco di entrare, se non lo si è mai fatto (anche se oggi è a pagamento, no comment…) all’interno del Pantheon e ammirare la meravigliosa cupola che sta lì da duemila anni.

Si dirà che “così il progresso non va avanti !”. Certo che il progresso deve andare avanti, ma a misura dell’uomo, non di quello che l’uomo pensa di essere diventato, anche se non lo sarà mai.

Eiffel, che lavorava con l’acciaio, si è fermato prima; Antonelli, che lavorava con i mattoni, si è fermato dopo. La Mole Antonelliana di Torino, completata in piena Belle Epoque nel 1889 – per inciso, a mio modestissimo parere, il periodo più “scemo” della Storia moderna, almeno fino agli anni ‘60… - lo stesso anno in cui fu inaugurata la Tour Eiffel, era l’edificio in muratura più alto al mondo. Questa torre, con in cima la stella a 5 punte… (!??), inutile come quella parigina, fu realizzata per celebrare l’uomo Dio, chissà per volere di chi !?, Forse di quegli stessi che avevano patrocinato l’Unità ? Allora magari si tratta del monumento alla “strage del sud” su cui, proprio in quegli anni, si posava la pietra tombale con la scritta menzognera “vittoria sul brigantaggio”. E questa non è un’altra storia, la nostra è solo la continuazione incruenta ma estremamente fruttuosa di quella.

La mole sta in piedi grazie agli interventi cospicui di rinforzo eseguiti dall’ing. Pozzo e altri collaboratori nel 1931. Ma il Principe vuole sempre soddisfazione. Ora, all’interno di quella poderosa struttura in cemento armato, che sostiene il peso della mole evitando che crolli rovinosamente,  è organizzato il museo del cinema, dentro al quale si accede passando sotto, quasi un rito di sottomissione, alla grande statua di Moloch. Appunto, la natura che si riprende il caos.

Claudio Gazzoli, ingegnere.

 

Il mio primo intervento aggiornato:

fragmenta di claudio gazzoli: IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

 

 

 


giovedì 21 agosto 2025

IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

 
 
Si sta verificando, in merito al previsto Ponte Sullo Stretto di Messina, la medesima eccitazione che non prevede il dissenso, ammenoché non provenga dalla solita congrega ideologica dominante, alla quale è concesso anche di avere una dialettica interna così da convalidare le virtù della “democrazia”. Hanno già pronto l’antidoto che consiste nella “classificazione” delle opinioni per poterle delegittimare e, in un certo senso, ridicolizzare. Questa tecnica l’abbiamo già imparata, non ci caschiamo ! Se sei contrario a farti bucare, ti chiamano “no-vax”, se consideri il “riscaldamento globale” la più grande menzogna del secolo, ti dicono che sei un ignorante individualista, se sei contrario al ponte sullo Stretto ti dicono che sei contro il progresso; tutte espressioni che rientrano sotto l’abusata formula di “complottista”.
Tra i vari contributi letti in rete, in particolare mi ha colpito questa frase, che giudico emblematica perché purtroppo esprime un sentire diffuso; fa parte di un articolo scritto da Vincenzo Rizza, il 19 agosto, pubblicato sul blog Duc in Altum di Aldo Maria Valli. Ho inviato questo articolo, di tenore opposto, al dott. Valli, ma non è stato pubblicato. E' stato pubblicato invece dal dott. Tosatti, giornalista di grande professionalità e coraggio, sul suo blog.
«In realtà ritengo sia preferibile avere un ponte che cade gloriosamente piuttosto che restare per sempre inchiodati ai traghetti che cadono a pezzi un po’ per volta e ad una civiltà che rifiuta ogni forma di progresso, senza infrastrutture e senza futuro. Il ponte, insomma, non è un capriccio».
Mi piacerebbe chiedere all'autore di questo post, semmai ne avessi l'opportunità, se questo desiderio rimarrebbe valido qualora, su quel ponte, si trovassero lui e la sua famiglia. 
Ebbene sì, si tratta di un capriccio. Un capriccio dei più perniciosi in un paese che, ormai da decenni, va avanti a forza di “capricci” rivestiti di un manto ideologico, haimé, a senso unico.
Faccio l’ingegnere e, anche se non passo le mie giornate a progettare ponti, so di che cosa si sta parlando. Ci sono due generi di ragioni per le quali sono contrario a questa realizzazione, quelle che direttamente coinvolgono la costruzione e quelle indirette. Farò un cenno alle prime per poi enumerare le seconde, anche se, ovviamente, si tratta di una semplificazione molto schematica.
Come giustamente ha già scritto qualche collega e qualche autorevole geologo, quando si progettano opere di questo tipo, "ardite", non si può far ricorso alle Norme Tecniche sulle Costruzioni per definire le specifiche di progetto in termini di azioni sismiche. Occorre tener conto, non delle sollecitazioni più probabili, ma di quelle massime che possono essere previste in base alla sismicità del luogo e alla storicità degli eventi sismici. Qualcuno ipotizzava accelerazioni massime orizzontali di 0,9-1,0 g; in poche parole se avvenisse un terremoto di questa intensità, le forze orizzontali, che agirebbero sulla struttura, sarebbero corrispondenti al suo peso. È bene chiarire che nessuna delle costruzioni antisismiche, realizzate in questo paese in base alle normative più recenti (e più restrittive) potrebbe resistere ad un terremoto di questo tipo. Questo solo per far capire i termini del problema relativo alla resistenza sismica.

Allora, con riferimento alle ragioni “dirette”, mi chiedo:
- quali azioni sismiche sono state considerate nella progettazione ?
- è stato sufficientemente valutato l’eventuale spostamento relativo massimo prevedibile (e rotazione) delle aree interessate dalle fondazioni dei piloni, in caso di un evento sismico analogo o superiore a quello del 1908 ?
Abbiamo tanti primati in questo paese, tra cui quella che è considerata la più grande catastrofe ingegneristica della storia: il 9 ottobre 1963 l’invaso del Vajont viene “invaso” appunto da un’enorme frana, provocando un’onda distruttiva. Certo che la diga in c.a. ha resistito, ma l’evento disastroso si è avuto ugualmente perché non erano state considerate tutte le condizioni che potevano verificarsi in quel contesto, di cui lo stesso nome faceva intravedere la criticità. Allora, dati questi e molti altri precedenti…, anche recenti, c’è da fidarsi ?
Ed inoltre:
- siamo proprio così sicuri di riuscire a contenere, visto che non sarà possibile impedire, gli interessi illegittimi che un investimento economico così ingente attirerà e non solo da parte di quelle forze enormi già purtroppo presenti?
Una civiltà che rifiuta ogni forma di progresso, senza infrastrutture e senza futuro”. Ma chi l’ha detto che questa “civiltà” rifiuta ogni forma di progresso ! Siamo stati, agli albori dell’aeronautica, i primi al mondo a proporre soluzioni tecniche e realizzare velivoli innovativi. Grazie alle intuizioni e agli esperimenti di una mente geniale siamo stati i primi a realizzare la prima trasmissione senza fili, che poi ha dato origine al mondo “digitale” in cui oggi siamo immersi (anche se questo non lo considero un grosso progresso…) e negli anni sessanta, in un’azienda virtuosa, allora importante, è nato il primo “personal computer”. Il fatto è che non abbiamo più queste capacità, semplicemente perché ce le hanno tolte con un’azione sistematica mirata che, senza scendere nei dettagli, ha trasformato la formazione in indottrinamento, l’entusiasmo in indifferenza, la consapevolezza in incoscienza, il sacrificio in rinuncia.

E veniamo alle ragioni indirette di cui le citate “infrastrutture” costituiscono il principale riferimento, anche perché di competenza del medesimo Ministero che caldeggia questa realizzazione. Curioso (eufemismo) che a guidare questo ministero ci sia un tale che anni fa’ caldeggiava rumorosamente la secessione del Nord dall’Italia ed invece ora propone addirittura uno strepitoso ponte per unire di più l’intera nazione. Chissà perché questo interessamento travolgente della Lega ad un ponte che unisca la Sicilia alla Calabria? Chissà perché...? Metamorfosi immaginabile della politica.
Mi chiedo, ma coloro che sono così entusiasti di quest’opera colossale, in quali strade circolano con le loro auto ? In quali ospedali hanno messo piede, se, sfortunatamente, ne avessero avuto bisogno ? In quali scuole mandano i loro figli ? Quali periferie (o centri storici ormai…) frequentano ? E mi riferisco, ovviamente alle persone comuni, perché non credo che gli "eletti" si metterebbero in una coda di 28 ore, al pronto soccorso di un ospedale; mentre starebbero in prima fila all'inaugurazione delle loro opere. Ovvio che la realizzazione di un’opera come questa darebbe luogo ad un’impressionante attenzione mediatica per anni, con una capacità di attirare consensi imparagonabile a quella del potenziamento delle condizioni operative del pronto soccorso ospedaliero. Ci sono criteri puramente oggettivi che devono guidare le scelte di chi governa perché prioritari, prima ancora degli interessi prettamente politici. Ogni volta che ho provato a parlare ad un politico di "criteri oggettivi" ho visto la stessa espressione del bambino che guardava ET la prima volta. Il modo di procedere della politica, che conosciamo in questo paese da almeno 165 anni, è tipico dell’evoluzione naturale, direi strutturale, della democrazia, come sapevano bene i pensatori greci che consideravano, appunto, la demagogia la peggiore delle forme di governo.
Se a casa ho il tetto sfondato e le finestre sfasciate non mi metto a ridipingere le pareti o a realizzare un terrazzo sospeso per asciugare i panni al sole. Non ho molta frequentazione delle strade del Norditalia, ma significativa di quelle del centro sud e posso testimoniare, senza tema di smentita, che molte strade provinciali, ma anche alcune di quelle statali e delle autostrade, sono in condizioni pessime, direi disastrate, per quanto riguarda il fondo stradale, le frane non gestite, la segnaletica orizzontale e verticale, gli incroci, l’adeguatezza rispetto ai volumi di traffico e alle velocità. Si chiama SICUREZZA e la sua gestione da parte degli organi competenti dello Stato, si chiama PREVENZIONE. Dico solo, per i non addetti, che questa parola “prevenzione”, che lo Stato obbliga ai soggetti privati e pubblici, si trova citata circa ottanta volte nella legge di riferimento sulla sicurezza del lavoro ma che può essere considerata un riferimento assoluto per tutte le problematiche che riguardano la sicurezza. E mi chiedo "lo Stato non dovrebbe dare per primo il buon esempio?". Ora, quanta PREVENZIONE si potrebbe mettere in pratica con questa cifra smisurata (ma certamente destinata a lievitare nel tempo…, come dimostrano altre opere colossali già realizzate, vedi Alta Velocità) di 17 miliardi di euro ? Quanti chilometri di “alta velocità” si potrebbero fare, magari tra Palermo e Napoli, che potrebbero abbattere di almeno 5 ore i tempi di percorrenza per Roma, e non di soli 40 minuti. Quante autostrade (cito solo, perché lo frequento purtroppo, il tratto “terribile” Pedaso-Ortona) si potrebbero rinnovare ? Quanti centri storici si potrebbero mettere in sicurezza sismica e renderli vivibili con i criteri di oggi ? Quante pattuglie delle forze dell'ordine si potrebbero creare così da non doversi sentire più rispondere "ci dispiace... non abbiamo la pattuglia disponibile !". Quanti “pronti soccorsi” degli ospedali, ormai in condizioni che fanno venire gli incubi solo a pensarci, si potrebbero riorganizzare. E, per ragioni di spazio, non voglio dilungarmi oltre.

Dico soltanto che il “futuro” di questo paese non passa di sicuro per il ponte sullo Stretto (perché allora non realizzare un ponte con la Sardegna ?), ma sulla riscoperta (o scoperta) di una identità, di una tradizione che ora vogliono cancellare, di una abnegazione che ha fatto risorgere questo paese dalla catastrofe della seconda guerra, quando donne e uomini (tra cui mio padre) si sono rimboccati le maniche indipendentemente dalle loro convinzioni politiche - che comunque nella maggioranza delle persone, non erano contaminate dall’ideologia – per dare ai loro figli un futuro dignitoso.

Non mi attrae il futuro tecnologico, quello organizzato dai padroni del mondo, subdolamente occultati dai sistemi cosiddetti “democratici”, che può essere conseguito solo a detrimento della nostra anima, per una legge naturale di compensazione. L’unico futuro possibile, per questo paese, è ritornare alle radici cristiane che accomunavano i suoi abitanti, di ogni casata, etnia, lingua, costume, cittadinanza, rimuovendo lo spesso strato di fetidi sedimenti massonico-risorgimentali che le hanno soffocate. Ma questo è possibile, ad un prezzo molto alto, solo dopo aver toccato il fondo del precipizio. L’alternativa è la nuova barbarie.

Il futuro che primariamente mi interessa non passa attraverso il ponte sullo Stretto o per gli altri “ponti” auspicati fino a poco tempo fa’, ma anche ora…. Il futuro a cui aspiro passa su un ponte lunghissimo in salita, ormai logorato e cadente, carico di ostacoli e macerie, che potrà condurmi, molto indegnamente, verso l’Eterno.

Claudio Gazzoli, ingegnere


https://www.aldomariavalli.it/2025/08/19/opinione-perche-dico-si-al-ponte-sullo-stretto 

Ponte sullo Stretto, l’Eccitazione che non Vuole Dissenso…un Modello ben Noto. Claudio Gazzoli. : STILUM CURIAE